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Buñuel – Killers Like Us

2022 - Profound Lore / La Tempesta
noise rock

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Tracklist

1. Hornets
2. When God Used A Rope
3. It’s All Mine
4. Crack Shot
5. Stocklock
6. Roll Call
7. When We Talk
8. A Prison Of Measured Time
9. For The Cops
10. Even The Jungle


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Dopo la notte dipinta su e in “A Place To Bury Strangers” e “The Easy Way Out” arriva il giorno. Ma è una luce malata quella che irrora “Killers Like Us”, un “sole bastardo” (perdonate la citazione quasi scontata) che getta i suoi raggi sulla Smith & Wesson 29 poggiata sul tavolaccio della copertina, e porta in dote tutto l’orrore di questo mondo alla deriva.

Facevano male prima e fanno male ora, i Buñuel, che tra le fila lasciano Capovilla in favore di Andrea Lombardini e il suo basso che s’insinua nel rumore, morbidezza new wave che si fa contrappeso dilaniante, e l’ordigno è pronto a colpire più a fondo di quanto fatto finora, che di ferite ne aveva già ampiamente provocate. Una trilogia che volge al termine e lo fa con una ferocia da primo album con il senno del terzo, la benedizione dei terzi dischi che tocca solo coloro che sono in grado di gestirla.

Minimale nel suo essere strabordante, “Killers Like Us” è una lenta discesa nelle spirali dello sporco umano in cui gli dèi non sono che spettatori distanti . Le chitarre di Iriondo sono sempre più acide e brucianti, raschiano e tagliano, si insinuano fino a perdere la propria identità, scivolando sulla batteria di Valente che martella sempre più in profondità, cesellando il tempo in modi sempre più tortuosi, quando non intenti a rallentare inchiodando su ritmiche oltre il limite di idea elettronica. Eugene S. Robinson e la sua ugola di catrame sciorina il suo sciamanesimo urbano in picchi di pura disperazione, anche quando l’ambiente si fa più diretto, come in Crack Shot, in duo al microfono assieme alla voce cristallina della consorte Kasia Meow, lasciando che la spirale melodica svetti imperiosa sul disastro degli strumenti, con le parole a disegnare scenari ogni volta più decadenti.

Lo spazio va lentamente disintegrandosi, e al fianco di proiettili supersonici ci sono danze marcescenti in cui bellezza e oscenità si fondono (When God Used A Rope), palazzi noise che caracollano provocando disastri (Stocklock, It’s All Mine) e illuminazioni doom specchiate su laghi di mercurio infetto (When We Talk, la spaventosa Even The Jungle), creando ambienti malsani che sanno di fine ben più che imminente. È già arrivata e noi non possiamo farci un cazzo di niente.

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