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Back In Time

Il vuoto del mondo che si affaccia al nuovo millennio: “13” dei Blur

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1999: sono passati 2 anni dal punto di svolta della band di Londra: l’album omonimo (“Blur“, 1997), la deriva lo-fi trascinata oltre oceano dai freschissimi Pavement, la registrazione/rifugio islandese, ma sotto l’ala protettiva di Stephen Street. I ritornelli orecchiabilissimi, le hit da classifica in competizione con gli Oasis, il brit-pop edulcorato che si assaporava in “The Great Escape” erano ormai un lontano ricordo. E aggiungerei “per fortuna”.

Ci ricorda la giornalista Sylvia Patterson: “l’album più conscio dei Blur, “The Great Escape”, e il suo successivo tour mondiale, hanno quasi diviso la band. Proprio come l’imbarazzo di Graham per la cosiddetta “allodola” pop, la sua infelicità nel suonare quelle che lui chiama “canzonette allegre”, la sua infelicità per la stessa ridondanza creativa, hanno fatto diventare Coxon, dice Damon, “un ubriacone profondamente brutto”.

I Blur avevano assaporato aria di novità, i fan pure, e il secondo singolo Song 2, contro ogni aspettativa, si ritrova ai primi posti in varie classifiche non sfigurando neppure in colonne sonore, advertising e nascenti videogame (come non dimenticare FIFA 98). I Blur, tuttavia, nonostante le crescenti divergenze e i problemi alcolici del chitarrista Coxon, decidono di dar vita all’album più sperimentale tra tutti quelli usciti, il più cerebrale e, a modo suo, psichedelico.

13“, prodotto da William Orbit, uscito per Food Records, è un contenitore di chicche e di fugaci perdite di inventiva. L’album preannuncia, in qualche maniera, e col senno di poi, un tentativo di rinnovamento di identità del sound ma anche l’inevitabile fallimento per il successivo scioglimento del quartetto (nel giro di qualche anno divenuto terzetto). Ma è proprio il tentativo di rinnovamento che permette al gruppo di partorire piccole gemme ancora da sgrezzare, ma eleganti nel loro essere incomplete.

Photo: Brian Rasic

Gli appartenenti alla generazione Y ricorderanno sicuramente il video musicale di Coffee and Tv, in loop su Mtv e i canali terziari della TV italiana. Quel video sognante era costruito così bene che ognuno di noi poteva davvero identificarsi nei personaggi protagonisti, nel chitarrista fuggito di casa, nel cartone Milky in missione speciale per ritrovarlo, nella famiglia in apprensione. Era il video di una generazione, inquieta, ansiosa, che si stava per scontrare coi repentini cambiamenti sociali che di lì a poco avremmo visto tutti noi.

13“, in generale, raccontando dolori e momenti depressivi, riesce ad incarnare il vuoto generazionale di un mondo alle soglie del nuovo millennio. E se l’adult cartoon Beavis and Butthead, in onda sempre su Mtv, tendeva ad evidenziare la degradazione di una certa società occidentale, quel video ne mostrava le paure e le preoccupazioni.

Ma Coffee and TV era solo la punta dell’iceberg di un album che trasuda inquietudine e depressione da tutti i pori. E il fattore “ripetitività” gioca un ruolo fondamentale nel fornire un certo mood a tutto il lavoro. “13 è anche l’album del momento, prodotto durante un momento infelice della vita del cantante.

Tender è una ballata per anime ferite. Racconta Damon: “Beh, fondamentalmente, ero infelice. Stavo attraversando una rottura. Ero depresso…avevo davvero bisogno di fare qualcosa. La registrazione di un album è stata una grande fuga. Non so cosa sarebbe successo se non avessi iniziato a lavorare” […] “Siamo stati insieme per otto anni. Otto anni sono tanti, molto lunghi. Soprattutto se la relazione è pubblica come lo era la nostra. Ho attraversato una fase in cui ho pensato di dover giustificare i miei sentimenti, tutto ciò che ho investito in quella relazione. Come musicista, di solito la musica è la tua via d’uscita” (NYROCK, Marzo 1999).

Damon Albarn si è ispirato, quindi, alla rottura con la sua fidanzata di allora, Justine Frischmann, concependo un pezzo dall’incedere lento ma sostenuto, quasi una cavalcata verso momenti migliori.

Bugman rompe le speranze del brano precedente concedendoci un pezzo dalla ruvidezza punk quasi noise, decisamente stracolmo di feedback. Coxon, qui, può dar sfogo a qualche libertà, e non possiamo non rendergliene merito, ma le libertà verranno sfoggiate più in là nell’album. Coffee and Tv, accompagnato dal famoso videoclip pluripremiato del cartone di latte, è decisamente un brano pop. Scritto e cantato da Graham Coxon, si sviluppa attraverso un bel giro di basso che fa da sfondo ad un tappeto acustico letargico ma ritmato. Banalmente, la canzone delinea le sue lotte per superare l’alcolismo concentrandosi su quanto di più sano a quei tempi, caffè e tv.

La ripetizione, nell’intero brano come in tutto il lavoro, gioca un ruolo assai importante ai fini dell’atmosfera finale. Il riff-assolo che naufraga fino agli ultimi secondi è probabilmente uno dei più conosciuti della seconda parte dei ‘90. 1992 è uno dei migliori brani dell’album. Scritta appunto nel 1992 ma scartata ai tempi perché troppo oscura e deprimente, è stata ripescata, rispolverata e riarrangiata per darle un tocco più isolazionista. 1992 è una quasi strumentale discesa agli inferi coraggiosa e perspicace, sostenuta da un ispirato Coxon. L’abbondante uso di sintetizzatori e feedback regala momenti di autentica stasi all’ascoltatore.

La parentesi giocosa di B.L.U.R.E.M.I lascia presto spazio all’altra gemma dell’album, Battle, che nei suoi quasi 8 minuti di crescendo, strizzando l’occhio a certi Radiohead, alterna momenti di rock scarnificato a sperimentalismi più accesi. Scritta a Bali in vacanza da un Damon ormai in rottura con Justine, è tutta da ascoltare ad occhi chiusi. Mellow Song, a dispetto del nome, non è una canzone dolce; è la colonna sonora delle angosce che si nascondono dietro situazioni apparentemente statiche e banalmente normali. Il testo è un riferimento non voluto (o forse si?) all’eroina (Shooting stars In my left arm) o meglio alla vuotezza del momento attraversato dal cantante, e dal modo in cui trascina il mondo dietro di sé, un mondo ovattato che comincia a scrostarsi.

Andando oltre la sghemba Trailerpark si assiste ad una nuova parentesi ansiogena: Caramel. Quelle corde acute pizzicate ed eternamente ripetute con la voce di Albarn che si affaccia timidamente sulla nebbia sono il preambolo di un incubo calcolato. La nebbia sfocia a metà del brano con l’ingresso della Telecaster di Coxon e la batteria di Rowntree a dare un tocco aggressivo al brano. Ci pensa la ghost track finale a comunicarci che possiamo riderci su. Trimm Trabb ricalca il precedente brano e segue la stessa dinamica di inizio tenue ed ipnotico e di intermezzo esplosivo. La sensazione di inquietudine non finisce, anzi, si ingrossa a dismisura. Racconta Coxon “Trimm Trabb mi piace perché all’improvviso senti questo tipo di ululato, Damon che sta ululando. È una canzone strana perché parla di qualcosa di davvero, davvero banale. Cose quotidiane, sai? Tipo quali pantaloni indossare, quali cose per rimetterci in piedi. Ma devo proprio dire che amo la parte in cui ulula, perché è un po’ come un fottuto ululato esistenziale, il dolore emotivo che provoca il travolgente banale.”

Ci pensa la struggente No Distance Left To Run a stemperare gli animi col suo forte romanticismo, ma pur sempre rimarcando che, appunto, “siamo al punto di non ritorno”.

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