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Back In Time

Ascolti gli Hella e poi muori: i vent’anni di “Hold Your Horse Is”

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Sarà stato il 2009, il 2008, era tipo uscito da poco quello che, allora, era l’ultimo album degli Hella, “There’s No 666 In Outer Space“, che qualcuno, non ricordo più chi, mi disse di ascoltarli. Suonavamo da poco, facevamo un casino, ci piaceva spaccarci la testa attraverso le orecchie. E sentire questo batterista che si prendeva a botte con la batteria, questo chitarrista con la chitarra sotto le ascelle che sciallissimo si divertiva come un matto a stracciare tutti i tempi, i ritmi, i sensi, che suonavano con cinque mani, sei piedi, boh.

Erano una meraviglia da vedere, per il me di allora una cosa inimmaginabile, un sogno, un incontro ravvicinato del terzo tipo, pensarli suonare, creare quella roba intricatissima e assurda, assurda. Mi gasava da matti pensare a quell’assurdità, quel vedere la musica come un gioco scomposto e senza voce, un unico grande delirio diviso in tracce. Mi rappresentava.

Ricordo di essere andato nell’unico negozio di dischi di cui “fidassi, a Macerata, e ordinai “Hold Your Horse Is“, il primo album degli Hella, uscito proprio vent’anni fa. E non c’era niente in quel CD: la copertina con un orso, il disco con sopra dei bollini disegnati e una foto di questo duo, Spencer Seim e Zach Hill. E un adesivo che recitava così: “WARNING: Hella is not for everyone. This album will change the way you view music forever”.

Era il math-rock, il calcolo perfetto dei tempi irregolari, tipo la quadratura del cerchio, o una drogata sequenza di Fibonacci. La cosa più sconvolgente è che ti diverti. Ad ascoltare un album di sola batteria e chitarra, dissonante, intricato, sconclusionato, ti diverti, senti loro che si divertono a suonarlo, e tu con loro. Apparentemente Spencer non ascolta altro che musica da Nintendo e la prima traccia è davvero a tema Nintendo, suonata con ritmi midi ed elettronici.

L’attacco di Biblical Violence, questo titolo poi, dopo il motivetto da videogioco come intro, i quaranta secondi di The D. Elkan, è il caos. Come riuscire a suonare il caos. Come farlo quadrare. Come riuscire a creare una narrazione sensata dell’insensatezza. Esagerati ed equilibrati insieme, hella, nello slang californiano, troppo, l’eccesso come unica legge, maniacale, spastico, e allo stesso tempo inesorabilmente armonizzato.

Le tracce sono semplici, scandite al loro interno quasi classicamente, intro, riprese, bridge, pseudo-ritornelli, ma è la tecnica che meraviglia. Una tecnica che non è fine a se stessa ma che appunto narra qualcosa, mostra, penso a Republic Of Rough And Ready, dove ci sono gli accordi più memorabili di Spencer. Non ha senso poi parlare di Zach Hill. Non esiste una batteria come quella. Probabilmente è più vicino al non-essere che all’essere. Non si capisce come possa fare quello che fa, e lo fa senza paura: per un’impresa simile o hai trovato il nirvana o hai una rabbia inimmaginabile.

Una collisione spontanea di stili e tecniche distinti, una miscela mistificante di avant-noise, speed metal, jazz fusion e trauma da Nintendo. Ascolti gli Hella e poi muori. Tenere botta ad un album del genere ti rende una persona migliore.

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