Uscito lo scorso 25 febbraio su Erased Tapes, “4 Hands” è il nuovo album collaborativo del pioniere del suono tedesco Hans-Joachim Roedelius e del compositore americano Tim Story. Il disco è un’intima e delicata conversazione al pianoforte tra due amici di vecchissima data, che incorpora sia un’anima classica che uno spiccato senso avanguardistico (qui la nostra recensione). Abbiamo avuto l’onore di incontrare i due autori del disco e scambiare con loro qualche impressione circa il loro lavoro e il loro approccio artistico alla materia.
L’album “4 Hands” ha qualcosa di profondamente umano, delicato, intimo. È l’ascolto delle reciproche profondità interiori. Quali sono le assonanze e soprattutto le dissonanze che vi accomunano da quant’anni?
Tim: La collaborazione non sarebbe divertente senza le dissonanze. E non lo sarebbe nemmeno la musica. La cosa bella di lavorare con qualcuno per così tanto tempo come facciamo io e Achim, è che arrivi a sapere cosa c’è di speciale nella musica del tuo partner, che ti ispira in prima persona. Si impara a togliersi di mezzo quando quella magia sta accadendo, e a trovare le parti della propria voce musicale che interagiscono con essa nel modo più perfetto.
Achim: Non avrei saputo dirlo meglio. Al suo centro, “4 Hands” è semplicemente molti decenni della nostra amicizia musicale e personale, distillata in pochi momenti.
Da appassionata dei processi tecnici che accompagnano la realizzazione di un lavoro mi piacerebbe sapere quali sono state le difficoltà e i punti di forza che avete incontrato nella creazione di “4 Hands”?
Tim: In un certo senso, i punti di forza e le difficoltà erano due lati della stessa realtà: fare musica allo stesso piano, ma non allo stesso tempo. Achim ha registrato le sue parti per primo, e io ho composto le mie nei mesi successivi. L'”illusione” della completa integrazione delle due parti crea una conversazione musicale così perfetta, ma ci è voluto molto tempo e molta cura tecnica per realizzarla. Il pianoforte ha un suono incredibilmente complesso ed espressivo, quindi sono state necessarie migliaia di piccole correzioni per far combinare gli strati con sottigliezza. Più difficile, le sfide tecniche devono poi scomparire completamente nella musica – una volta che un ascoltatore pensa alla tecnica invece che alla musica, lo hai perso!
Achim : Tim è la mente dietro la creazione tecnica di “4 Hands”. In realtà sto solo facendo quello che faccio sempre, suonando “di pancia”.
Tim: Beh, questo è un po’ un eufemismo! Achim suona di ” pancia ” (il suo cuore, ne sono sicuro!) con più sentimento e sfumature di chiunque altro io conosca.
Signor Roedelius, ascoltando la sua produzione mi viene in mente una frase di Terry Riley: “Quando ascolti rigorosamente un pattern che è ripreso continuamente esso ad un certo punto incomincia a subire una sorta di cambiamento sottile, perché nel frattempo sei tu che stai cambiando”. Esiste un pattern, ascoltato o creato da lei, così profondamente parte del suo essere al punto tale da aver subito un cambiamento nella sua essenza più intima?
Achim : Sarebbe difficile sceglierne uno solo, ma spero che tutta la musica sia creata di ‘essenza più profonda!’ Dal 1967 lavoro intensamente con gli effetti dei rumori, dei toni e dei modelli su me stesso, il mio organismo, la mia psiche. La ripetizione e i modelli che si evolvono sono stati una parte profonda del mio lavoro da quando posso ricordare, in Cluster, nei miei ‘autoritratti’ degli anni ’70. In “4 Hands”, le ripetizioni permettono un’infinita varietà di sottili combinazioni di toni – sono un piacere da ascoltare semplicemente, ma sembrano anche aprire porte subconsce per l’ascoltatore volenteroso, e forse portarlo in spazi che Tim ed io non abbiamo consapevolmente inteso.
Signor Story, intrecciare la composizione musicale tendenzialmente classica ad un registro, diciamo così, più elettronico cosa le trasmette? Quale caratteristica ha l’elettronica che manca allo strumento classico? In sostanza, cosa cerca nell’elettronica che i tasti di un pianoforte non sono in grado di trasmetterle fino in fondo?
Tim: Ho sempre voluto creare musica che abitasse in un mondo di sua creazione, è quello che ho sempre amato del lavoro di Joachim. Un po’ come un organismo – una forma di vita – che ha caratteristiche riconoscibili, ma che non assomiglia a nessun’altra creatura che tu abbia mai visto. La musica classica, la musica elettronica, la musique concrete hanno tutte dei modi di comunicare, sono belle e risuonano in modi diversi e a volte molto simili. Ma la musica nella mia testa, come per Joachim credo, non ha “regole” o ricette. Un pezzo stesso crea la propria forma e struttura e suono, e questi requisiti richiedono che si sia liberi di scegliere da una tavolozza illimitata, o nel caso di “4 Hands”, approcci illimitati a una tavolozza simile!
Il vostro rapporto con le arti visive è ricco, interessante e complesso. Mi viene da pensare all’installazione “Roedelius Cell” realizzata a Chiasso nel 2019. Le va di raccontarmi qualcosa di più in merito al vostro rapporto con l’arte? Di cosa si arricchiscono, a vicenda, arte visive e musica?
Tim: “Roedelius Cells” è una forma di scultura audio, è una sorta di arte visiva attraverso il suono. Ho creato nuove composizioni complesse da bit e frasi di un decennio di registrazioni di pianoforte di Achim. Questi modelli e strati vengono poi riprodotti su un cerchio di 8 altoparlanti, così l’ascoltatore ha il vantaggio unico di sentire ogni singolo suono usato per creare la composizione. È un modo per sfidare le idee delle persone su cosa sia la composizione, cosa sia la ‘musica per pianoforte’, e farle diventare esse stesse ‘compositrici’ nel modo in cui si muovono nello spazio. Come 4” Hands”, mette la musica in un nuovo contesto, un nuovo modo di ascoltare, che è interessante da fare con uno strumento tradizionale come il pianoforte.
“4 Hands” ha tutte le caratteristiche per potersi trasformare in un’installazione di arte contemporanea intima ed immersiva. Se voleste trasformarla in un’installazione come la immaginate? Cosa vorreste trasmettere al fruitore?
Tim: “Roedelius Cells” è un’installazione speriamo interessante perché è stata progettata fin dall’inizio in quel modo. “4 Hands”, almeno per me, è stata un’esperienza puramente ‘musicale’. La nostra speranza è che i pezzi risuonino e si connettano potentemente con le persone in quel modo, come è successo a Achim e a me. Questo non vuol dire che non si possa fare qualcosa di bello e artistico in un’installazione, è davvero una specie di scultura sonora, e le sculture hanno bisogno di uno spazio tridimensionale. I cicli ripetitivi e i modelli al suo interno invitano certamente ad alcune interessanti interpretazioni visive e concettuali!
Signor Story, conoscendo profondamente il signor Roedelius ed essendosi già occupato di “Rodelius Cell” come curerebbe la realizzazione dell’installazione di “4 Hands”? Quali punti vorrebbe emergessero maggiormente?
Tim: Nel bene e nel male, “4 Hands” è probabilmente l’espressione più ‘naturale’ ed equa di Joachim e me. Ci permette di essere ognuno chi siamo musicalmente più di qualsiasi altra nostra uscita passata. Penso che questo sia ciò che mi piace di più. Il fraseggio unico e fluido di Achim tenta di forzare le sue parti in una ‘griglia’ ritmica più regolare per renderlo più convenzionale e facile da lavorare. Ma la vera bellezza del suo lavoro sta in quelle sottili variazioni di ritmo e di tocco, e sono felice che queste siano conservate così delicatamente in ‘4 Hands’.
Nelle vostre rispettive ricerche, ricche e sfaccettate, esiste un limite che cercate per poi infrangere? E “4 Hands” quali limiti avete cercato per poi superarli?
Tim: penso che la nostra risposta a questo ripeterebbe la nostra risposta a #2!
In “4 Hands” il tempo interiore sembra creare lo spazio in un continuo dialogo tra pieni e vuoti. Come avete vissuto i tempi del lavoro e poi dell’attesa che hanno accompagnato la realizzazione dell’album?
Tim: Non posso parlare per Achim, che ha dovuto aspettare pazientemente per mesi mentre io finivo le mie parti su questi, un pezzo alla volta! Ma quei mesi, in autunno e in inverno, sono stati meravigliosi per me – ero chiuso in una vera e propria ‘zona’ per quel periodo, la gioia di esplorare molti approcci diversi senza aspettative mi lascia dei bei ricordi dell’intera esperienza. Ogni pezzo si è sviluppato da solo, a volte pieno, a volte vuoto. Questa mancanza di scadenze, questa libertà, ha permesso ad ogni pezzo di rivelare i suoi segreti, lentamente, nel suo tempo.
Achim: Per molti decenni, Tim e io abbiamo assecondato la nostra (apparentemente!) infinita sete di avventura nel campo dei rumori, dei toni e delle armonie. Quindi un po’ di tempo in più ci andava benissimo. Credo che sospettassimo che alla fine le nostre venti dita su un pianoforte sarebbero state capaci di qualcosa di diverso, qualcosa di inaspettato, qualcosa di bello.
Vi ringraziamo, è stato davvero bello poter chiacchierare con voi!
The album “4 Hands” has something deeply human, delicate, intimate. It is the listening of each other’s inner depths. What are the assonances and above all the dissonances that you have had in common for how many years?
Tim: Collaboration wouldn’t be any fun without the dissonances. Neither would music. The great thing about working with someone for as long as Achim and I have, is that you get to know what it is about your partner’s music that is special, that inspires you personally. You learn to just get out of the way when that magic is happening, and find the parts of your own musical voice that interact with it in the most perfect way. Achim: I couldn’t say it better. At its center, “4 Hands” is simply many decades of our musical and personal friendship, distilled into a few moments.
As an enthusiast of the technical processes that accompany the realization of a work, I would like to know what were the difficulties and strengths you encountered in the creation of “4 Hands”?
Tim: In a way, the strengths and difficulties were two sides of the same reality: making music on the same piano, but not at the same time. Achim recorded his parts first, and I composed mine over the following months. The ‘illusion’ of the complete integration of the 2 parts creates such a perfect musical conversation, but that took a great deal of time and technical care to bring about. The piano has an incredibly complex and expressive sound, so thousands of small adjustments were needed to make the layers combine with subtlety. Most difficult, the technical challenges must then disappear completely into the music – once a listener thinks about the technique instead of the music, you’ve lost them!
Achim : Tim is the mastermind behind the technical creation of the 4 Hands. I’m really just doing what I always do, playing ‘out of the belly.’
Tim: Well that’s a bit of an understatement! Achim plays from the “belly” (his heart, I’m sure!) with more feeling and nuance than anyone I know.
Mr. Roedelius, while listening to your production, a Terry Riley’s sentence comes to my mind: “When you listen strictly to a pattern that is continuously repeated, at a certain point it begins to undergo a sort of subtle change, because in the meantime it is you who are changing”. Is there a pattern, either listened to or created by you, so deeply part of your being that it has undergone a change in your innermost essence?
Achim : It would be hard to choose just one, but I hope that all the music is created of ‘innermost essence!’ Since 1967 I have been working intensively with the effects of noises, tones and patterns on myself, my organism, my psyche. Repetition and patterns that evolve have been a deep part of my work for as long as I can remember, in Cluster, in my ‘self-portraits’ of the 1970’s. In 4 Hands, the repetitions allow an infinite variety of subtle tone-combinations – they are a pleasure to listen to simply, but also seem to open subconscious doors for the willing listener, and perhaps take them to spaces that Tim and I didn’t consciously intend.
Mr. Story, what does interweaving a musical composition that tends to be classical with a register, let’s say, more electronic, transmit to you? What characteristic does electronics have that the classical instrument lacks? Basically, what do you look for in electronics that the keys of a piano are not able to convey fully?
Tim: I’ve always wanted to create music that inhabits a world of its own making, It’s what I’ve always loved about Joachim’s work. A bit like an organism – a lifeform- that has recognizable features, but isn’t quite like any other creature you’ve ever seen. Classical music, electronic music, musique concrete all have ways of communicating, they are beautiful and resonant in different, and sometimes very similar ways. But the music in my head, as it is with Joachim I believe, does not have any ‘rules’ or recipes. A piece itself creates its own form and structure and sound, and those requirements demand that one is free to choose from a limitless palette, or in 4 Hands’ case, unlimited approaches to a similar palette!
Your relationship with the visual arts is rich, interesting and complex. The installation “Roedelius Cell” made in Chiasso in 2019 comes to mind. Would you like to tell me more about your relationship with art? How do visual art and music enrich each other?
Tim: “Roedelius Cells” is a kind of audio sculpture, it is a kind of visual art through sound. I created complex new compositions from bits and phrases of a decade of Achim’s piano recordings. These patterns and layers then play over a circle of 8 speakers, so the listener has the unique advantage of hearing each individual sound used to create the composition. It’s a way to challenge people’s ideas about what is composition, what is ‘piano music’, and let them becomes ‘composers’ themselves in the way they move around the space. Like 4 Hands, it puts music in a new context, a new way of listening, which is interesting to do with an instrument as traditional as the piano.
“4 Hands” has all the characteristics to become an intimate and immersive contemporary art installation. If you wanted to turn it into an installation, how would you imagine it? What would you like to transmit to the user?
Tim: “Roedelius Cells” makes for a hopefully interesting installation because it was designed from the beginning that way. “4 Hands” at least to me was a purely ‘musical’ experience. It’s our hope the pieces should resonate and connect with people powerfully in that way, as it did for Achim and I. This is not to say that something artful and beautiful could not be done with it in an installation setting, it really is a kind of aural sculpture, and sculptures need a 3 dimensional space. The repetitive cycles and patterns within it it certainly invite some interesting visual and conceptual interpretations!
Mr. Story, knowing Mr. Roedelius deeply and having already dealt with “Rodelius Cell”, how would you take care of the realization of the installation of “4 Hands”? Which points would you like to highlight the most?
Tim: For better or worse, “4 Hands” is probably the most ‘natural’ and equal expression of Joachim and I. It allows us to each be who we are musically more than any of our past releases. I think that’s what I most like about it. Achim’s unique and fluid phrasing tempts one to force his parts into a more regular rhythmic ‘grid’ to make it more conventional and easy to work with. But the real beauty of his work lies within those subtle variations of rhythm and touch. and I’m happy that those are preserved so delicately in ‘4 Hands’.
In your respective rich and multifaceted research, is there a limit that you seek and then break? And in “4 Hands” what limits did you look for and then overcome?
Tim: I think our answer to this would repeat our answer to #2!
In “4 Hands” inner time seems to create space in a continuous dialogue between fullness and emptiness. How did you live the time of work and then of waiting that accompanied the making of the album?
Tim: I can’t speak for Achim, who had to wait patiently for months while I finished my parts on these, one piece at a time! But those months, in the autumn and winter, were wonderful for me – I was locked into a real ‘zone’ for that time, the joy of exploring many different approaches without expectation leaves me fond memories of the whole experience. Each piece developed on its own, sometimes full, sometimes empty. This lack of deadlines, this freedom, allowed each piece to reveal its secrets, slowly, in its own time.
Achim: For many decades, Tim and I have been indulging our (apparently!) never-ending thirst for adventure in the field of noises, tones sounds and harmonies. So a little extra time was perfectly ok for us. I guess we suspected that in the end, our twenty fingers on a piano would be capable of something different, something unexpected, something beautiful.
Thank you, it was really nice to chat with you!