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Johnny Marr – Fever Dreams Pts. 1-4

2022 - BMG
pop-rock / indie

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Tracklist

1. Spirit Power and Soul
2. Receiver
3. All These Days
4. Ariel
5. Lightning People
6. Hideaway Girl
7. Sensory Street
8. Tenement Time
9. The Speed Of Love
10. Night and Day
11. Counter Clock World
12. Rubicon
13. God's Gift
14. Ghoster
15. The Whirl
16. Human


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Apprestarsi a recensire “Fever Dreams Pts 1-4“, l’ultima fatica di Johnny Marr, significa entrare in punta di piedi nel pantheon della musica, con atteggiamento di riverenza, cercando di non far troppo rumore. Innegabile è l’influenza degli Smiths nello sviluppo della musica rock dagli anni ’80 ad oggi, e gran parte del merito va senza ombra di dubbio all’estro compositivo del chitarrista mancusiano, forte di uno stile dalle melodie tanto morbide quanto incalzanti.

Dopo gli sfibranti anni del sodalizio musicale con Morrissey, Marr si arricchisce di molteplici esperienze, che spaziano dalla militanza in band di giovani epigoni (Modest Mouse e Cribs) fino alle collaborazioni di prim’ordine con importanti nomi della scena musicale mondiale (The The, Talking Heads, Pet Shop Boys, Beck, Oasis e altri ancora). Da non dimenticare poi i contatti con la settima arte: recentemente, infatti, egli ha contribuito – insieme con Hans Zimmer – alla composizione di no time to die di Billie Eilish, parte della colonna sonora dell’ultimo omonimo film della saga di James Bond. Una carriera sfolgorante, dunque, invidiabile sin dai primi passi mossi nel mercato musicale.

Eppure, a quasi dieci anni dal suo debutto solista e giunto ormai al quarto album, Johnny Marr non riesce a lasciare più il segno come un tempo. Lontano è il ricordo degli arguti virtuosismi di Barbarism Begins At Home o dei granitici riff alla What Difference Does It Make?. Ciò che rimane in “Fever Dreams Pts 1-4” è una interessante ma poco stimolante commistione di sonorità indie rock/pop rock, gravate da una massiccia compagine elettronica che – nei momenti più brillanti – ricorda i migliori New Order e Depeche Mode.

Beninteso, l’album rimane a tutti gli effetti un godibile ascolto. Tra i sedici pezzi ve ne sono alcuni di pregevole caratura: ad esempio, la convulsa opening track, Spirit Power and Soul; le più genuine atmosfere post-punk di Counter Clock World; l’estetica à-la Badalamenti di Rubicon; il pregevole connubio tra basso e batteria di Ghoster. Tuttavia, per chi è abituato all’altra faccia della medaglia, questo Johnny Marr rischia di diventare una distante e labile eco di sé stesso, inchiodato in una farraginosa riproposizione di strutture topiche. Ad eccezione di alcuni ritornelli ben piazzati e di qualche guizzo negli arrangiamenti e nei testi, questo album pecca di una pretenziosa monotonia che è difficile da digerire.

In un’intervista di qualche anno fa, Noel Gallagher disse: «Nemmeno lui [Johnny Marr, ndr] è in grado di suonare ciò che suona». Ecco, sarebbe bello tornare a crederlo.

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