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Destroyer – LABYRINTHITIS

2022 - Bella Union
art rock

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Tracklist

1. It's in Your Heart Now
2. Suffer
3. June
4. All My Pretty Dresses
5. Tintoretto, It’s For You
6. Labyrinthitis
7. Eat the Wine, Drink the Bread
8. It Takes a Thief
9. The States
10. The Last Song


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Non è impresa facile scrivere dell’ultimo disco dei canadesi Destroyer. Mentre il precedente “Have We Met” (2020) ti prendeva dal primo ascolto, con “LABYRINTHITIS” si fa più fatica. L’idea pare quella di un disco in cui il frontman Dan Bejar ha buttato dentro tutto quello che gli frullava per la testa in termini di sound e d’ispirazione, compresa la sua abituale verbosità surreale (“mangia il vino / bevi il pane”) e lo ha passato ai suoi sodali per le rifiniture. Tra questi spicca una new entry, il batterista Joshua Wells (già con i Black Mountain), che fa di tutto per riportarci al magico mondo della disco black anni ’70, tipo Chic/Diana Ross. Anche se nessuna di queste 10 tracce si potrà in verità ballare.

È solo una suggestione quella che Dan Bejar e compari vogliono darci. Come tante altre. Si comincia dalle atmosfere profonde, da synth-pop d’epoca (avete presente “Una donna per amico” o i Talk Talk?) di It’s in Your Heart Now, con una coda di drone-music per proseguire in un cammino che più variato impossibile: in Suffer siamo in piena New-wave; in June appaiono forti accenni di funk, con una coda quasi rap; si sente il power pop in All My Pretty Dresses; ascoltiamo prove di prog alla King Crimson in Tintoretto, It’s For You; di Post-rock alla Brian Eno in Labyrinthitis; richiami ai Bee Gees in Eat the Wine, Drink the Bread; tracce dei New Order in It Takes a Thief, con coda ambient; ricordi di Krawtwerk in The States; e atterriamo in chiusura con il rassicurante indie lo-fi di The Last Song. E detto così è semplicistico, perché in realtà tutti questi ingredienti si mischiano tra loro continuamente.

Quello che qui è certo, è che si vive nell’incertezza. Bejar non vuole convincerci di nulla, sarà stata la pandemia ma non appare più convinto di nulla, come pareva piuttosto nell’elettro-pop del precedente album, con canzoni che prendevano direzioni precise e melodie, armonie e texture sonore che potevano anche andare subito ad appiccicartisi e restarlo per mesi, come capitò a me in pieno lockdown. Dopo qualche ascolto, non sappiamo ancora se “LABYRINTHITIS” ci ha preso, se ci sta prendendo o se saremo noi a riprenderlo in mano più in là. Sta pericolosamente in bilico tra l’esperimento incompiuto e il capolavoro finito.

Per il momento, se volete confondervi un po’ le idee, vi consiglio di abbassare le luci, inforcare le cuffie e rischiare di beccarvi la “labirintite” dal disorientamento. E se ciò dovesse accadere, magari tutto diverrà più chiaro. Destroyer ha combinato un bel macello con “LABYRINTHITIS”: ha perfezionato un mondo artistico, il suo, che già viaggiava balordamente in equilibrio tra il repulsivo, per depressoni dark e il seducente, per fighett* da spiaggia. Ora siamo giunti al bivio: o avremo i conati causati da vertigine sonora, oppure scatterà la standing ovation. Di quelle che non hanno bisogno di parole.

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