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Interviste

Vesto sempre uguale: intervista ai 24 Grana

Foto: Riccardo Piccirillo

Sei album in studio, tutti di alta qualità, notevolmente influenti per una discreta fetta di musicisti italiani cresciuti negli ultimi tempi. I 24 Grana, fermi da un po’, festeggiano i loro 25 anni insieme pubblicando “A Raccolta”, un’antologia che ripercorre la loro carriera e che ripropone in versione originale rimasterizzata tutti i loro maggiori successi. Dal primo singolo ‘O Cardillo alla più recente Luntano, passando per quel successo che fu Vesto sempre uguale, l’immancabile Kevlar e Accireme.

Dal “Mini CD” del 1996 ne è passata di acqua sotto i ponti. La band si è prima trasferita a Roma, poi ha varcato i confini nazionali e continentali, suscitando l’attenzione niente meno che di Steve Albini. Nel 2011, il produttore che fece le fortune di Nirvana, PJ Harvey e Sonic Youth ha aperto le porte dei suoi Electrical Audio Studios di Chicago, producendo “La stessa barca”, ultimo atto (fino a oggi) della loro discografia.

A ottobre del 2019, dopo tanti anni di strade divise (un vuoto, come lo hanno definito gli stessi protagonisti), l’occasione per Francesco Di Bella, Giuseppe Fontanella e Renato Minale di passare per Londra a trovare il loro vecchio compagno Armando Cotugno si è trasformata in poco tempo in una serie di suonate nostalgiche, rimpatriate culminate nella scrittura di un nuovo singolo e la registrazione dello stesso negli Abbey Road Studios. Il rapporto di amicizia con Clementino, cresciuto artisticamente con la musica dei 24 Grana, ha dato il tocco finale: A Raccolta è diventato quindi il titolo del pezzo e del disco.

Per l’occasione abbiamo deciso di incontrare la band per saperne di più.

Avete dichiarato che la vostra reunion non è stata una decisione presa a tavolino, ma semplicemente la voglia di ritrovare l’adolescenza perduta. “A Raccolta” quindi è solo una rimpatriata nostalgica o c’è qualcosa che bolle in pentola per il futuro?

Questo ce lo dirà il palco, i live ci hanno sempre stimolati a produrre nuovo materiale da proporre ai concerti, speriamo che anche questa volta sia così. L’appetito vien mangiando.

In qualche modo voi siete stati pionieri di un suono alternativo più morbido rispetto al passato, dimostrando forse per primi che le sonorità non-mainstream possono anche assumere connotati meno estremi. Qual è lo stato di salute della scena alternativa internazionale e in particolare italiana degli anni ’20?

Sin dagli anni Novanta la scena alternativa italiana è stata molto propositiva, credo sia ancora così ma bisogna preservare la creatività degli artisti e non costruire carriere a tavolino, perché questo soffoca la sperimentazione e la ricerca.

Dodici tracce tra cui un inedito, in realtà a memoria in un’antologia dei 24 Grana ce ne potrebbero entrare almeno il doppio: come si spiega la scelta di un’antologia “essenziale”?

Volevamo una tracklist che tenesse insieme la nostra storia ma che fosse anche una playlist gradevole, così come abbiamo sempre concepito i nostri dischi, con un concept di base che guidasse all’ascolto.

A proposito di inedito: ci raccontate un aneddoto sulla nascita della collaborazione con Clementino?

Con Clementino ci scrivevamo spesso su Instagram, così tanto per scambiarci i saluti e la reciproca stima. Ci eravamo incontrati al primo maggio del 2014 e ci eravamo detti di fare qualcosa insieme, così quando abbiamo iniziato a scrivere il nuovo brano abbiamo pensato di coinvolgerlo e lo abbiamo invitato agli Abbey road studiosi a Londra e ci siamo divertiti tantissimo.

Clementino, insieme ai vari Luchè, ‘A67, 13 Bastardi, Foja, Nu Guinea (poi Nu Genea), è membro di una generazione “figlia” dei 24 Grana, un’ipotetica discendenza genealogica della scena underground napoletana. Si può dire che il linguaggio si sia evoluto dal genere dub a qualcosa di multiforme, che abbraccia rap, crossover, folk, jazz e fusion?

Credo di sì, abbiamo una grande tradizione musicale alle spalle e siamo onorati di aver dato anche il nostro contributo a creare un ponte con le nuove generazioni di artisti che si esprimono in napoletano.

Vi siete ispirati, oltre che ai grandi esponenti dell’underground napoletano dei primi anni ’90, a una precisa declinazione punk che viaggia dai Buzzcocks ai Bauhaus. In questi ultimi anni pare si possa di nuovo trovare un’efficace coniugazione tra post punk di una certa qualità e fruizione di massa, penso ai Fontaines D.C., ai Black Country, New Road, ai The Besnard Lakes: il punk è tornato o semplicemente non se n’è mai andato?

Credo che il punk resti tra le fondamenta del rock alternativo. Per noi seguire l’attitudine di gruppi come i Fugazi, anche in senso etico è stato fondamentale.

Il genere dub ha diversi punti in comune con il punk: nasce a metà anni ’70, muove i suoi primi passi come “costola” di un genere superiore ma poi si distingue per talune caratteristiche stilistiche che lo rendono nel tempo un mondo a parte. Detto del punk, cosa propone di interessante nel 2022, a vostro avviso, la scena dub internazionale?

Il Dub è entrato nel linguaggio musicale di tanti artisti, è un genere che seppur nato alla fine dei ‘70 è arrivato in Italia negli anni ‘90 e ancora oggi è uno stile attualissimo, da suonare, ascoltare e ballare. Credo che la sua forza stia proprio nella capacità di fare ballare su beat morbidi e rilassati.

Il vostro ultimo album “La stessa barca” vedeva l’innesto di un nuovo bassista (Alessandro Innaro, che sostituiva Armando Cotugno), mentre la produzione di Steve Albini (dopo quella di Daniele Sinigallia) era il segno di un’avvenuta internazionalizzazione della vostra band. Come mai dopo questa svolta il discorso si è interrotto?

Registrare con Albini a Chicago è stata la ciliegina sulla torta di una carriera piena di soddisfazioni. Dopo ci siamo fermati per un po’ perché abbiamo credito di aver dato il massimo ed avevamo bisogno di una pausa.

Una domanda specifica per Francesco. La tua avventura solista ha vissuto un momento importante nel 2018 con “’O Diavolo”, un disco più intimo e ispirato al folk e ai cantautori italiani, oltre che all’elettronica: a che punto è il tuo progetto?

Sto per pubblicare un album, su Blackcandy, dove tiro le fila di tutto il mio percorso di songwriter , affidando ciascuna canzone alle cure di colleghi che stimo molto e a cui voglio bene, da Marina Rei, Riccardo Sinigallia, Cesare Basile, Joe Lally, Paolo Benvegnù, Pierpaolo Capovilla a tanti altri. È stata una esperienza molto gratificante.

In conclusione, nel ringraziarvi per la disponibilità, più che una risposta vorrei strapparvi una promessa: ditemi che in futuro vedremo ancora qualcosa di inedito a firma 24 Grana.

Non abbiamo pianificato la reunion a tavolino e quindi non abbiamo ancora stabilito niente ma abbiamo tanta voglia di fare musica insieme.  

Foto: Eleonora Collini

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