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50 Foot Wave – Black Pearl

2022 - Fire Records
alt rock / math rock

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Tracklist

1. Staring Into The Sun
2. Hog Child
3. Fly Down South
4. Black Pearl
5. Broken Sugar
6. Blush
7. Double Barrel


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Tornano dopo 6 anni di silenzio i 50 Foot Wave. Il side-project di 2/3 dei Throwing Muses: Kristine Hersh e Bernard Georges, accompagnati da Rob Ahlers alla batteria. 

Il trio ci consegna un disco di una bellezza spettrale, in soli 32 perfetti minuti. Sette tracce che si prendono il proprio tempo, lente. Una perla. Ma nera, come il colore di questa musica scura. Allo stesso tempo, un rock abbagliante come la luce nella foto di copertina. Che raffigura un luogo di una bellezza inquietante. Probabilmente reale, eppure straniante. Come “un maialino nato selvatico in un surreale campo di latta”. Ne canta Kristin Hersh in Hog Child. E “quindi questa corda e questa bruciatura sono entrambe bruciature da corda / Non vogliono far del male / Potrei quasi morire felice / Quasi”, aggiunge al riguardo e conclude il pezzo.

Su “Black Pearl”, tutto procede con perfezione geometrica. Come l’opener Staring Into The Sun, con il suo riff pesante, marcato di brutto da una sezione ritmica che si trascina come a un funerale. Uguale procede su Hog Child, mentre una chitarra sovraccarica disegna arabeschi che si innestano su un cantato più ruvido che mai e un giro armonico minimale. Fly Down South esprime invece una (molto) contenuta rabbia punk, che poi si va ricomponendo architettonicamente nel corso dei minuti, per terminare disegnando una figura precisa, che quasi la puoi vedere davanti agli occhi. Come la strumentale title-track, che pare una roba tirata su dal Brunelleschi. E la successiva Broken Sugar: forse la traccia più importante, in un disco già importante, con quella chitarra in levare che dà il tempo sopra un tappeto di tamburi e un basso sordo. Finché la canzone non inverte direzione e prende un’altra strada. Seguita da Blush: una marcia all’inizio, poi tutto diventa circolare e finisce con un riff di chitarra che è una cantilena. Hersh canta rauca tutto il tempo, come se avesse il diavolo in gola. Solo alla fine, su Double Barrel, la sua voce sembra per un attimo regredire e farsi, almeno all’inizio, giovane, infantile, posseduta ancora una volta, in definitiva.

“Black Pearl” ti lascia addosso un fremito strano, un brivido che ci ricorda che c’è sempre un’altra musica possibile. Una musica che viene da un posto che non è felice, ma che non abita neppure dentro di noi. Quel posto, se c’è, nessuno vuole andarci. Ma tutti dobbiamo farci i conti, prima o poi.

“Un cappio liquido intorno al collo / Un accendino Zippo / Nat* noios*, non ho avuto un minuto per respirare / Cristo, non c’è un numero minimo di battiti del cuore?”. Queste le immagini e la domanda con cui si era aperto il disco. E la risposta alla fine è “no, non c’è quel numero”. Quei battiti possono rallentare in modo inquietante in un disco di soli 32 minuti.

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