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If I Die Today – The Abyss In Silence

2022 - Argonauta Records
post-hardcore

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Tracklist

1. Life
2. Death
3. First Day (Denial)
4. White Noise (Anger)
5. Ashes (Negotiation)
6. Autumn (Sadness)
7. Void (Acceptance)
8. Darkness


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Qui non ci sarebbe nemmeno da scriverci sopra una recensione. Qui c’è da ringraziarli e basta. Per me il discorso è di parte perché il filo che mi lega agli If I Die Today è da sempre quello della riconoscenza. Li vidi da ragazzino a non so quanti chilometri lontano da casa mia in apertura ai Sum 41 all’Estragon di Bologna. Fu un’epifania. Fu forse il momento in cui capii che la roba con le urla mi piaceva e col senno di poi non escluderei che “Liars” sia stato il primo disco HC che abbia consumato nella mia vita a nemmeno 16 anni compiuti. 

Nella prospettiva dell’evoluzione naturale del gusto personale credo che nella mia biografia pochi altri gruppi “mediatori” abbiano avuto un peso così rilevante nel forgiare i miei gusti.

Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta ed è stata un’acqua altamente turbolenta. Cambi di formazione e minore continuità discografica non hanno fermato in questo decennio un’intensa attività live che li ha portati ad aprire per gente come Every Time I Die, Good Riddance, Snapcase e Dillinger Escape Plan, solo per citarne alcuni. Gruppi che non è che siano referenziati nei curriculum vitae di tutti quanti. E probabilmente gruppi a cui chi sta scrivendo questa recensione non avrebbe avuto facile accesso se non fosse passato prima per gli If I Die Today.

Anche grazie a questi traguardi la band si è potuta permettere con gli anni una dimensione più personale che scavasse nella quintessenza del proprio suono. Gli ammiccamenti metalcore e le incursioni melodiche di “Liars” – che erano anche un po’ figlie dei tempi in cui il disco uscì – si sono stemperati nel corso del tempo a sostegno di un suono più oscuro e pesante, legato a radici hardcore nobilissime che crescono e sedimentano intorno a un altare con la sagoma di Jacob Bannon marchiata a fuoco. Coordinate che già furono testimoniate nel 2015 da quel “Cursed” che fino d’ora è rimasto il loro ultimo full length.  

Oggi gli If I Die Today sono anche fisionomicamente una band diversissima da come li ho conosciuti, con Morgan che è passato già da un po’ di anni dal basso alla chitarra e con Marco che è rimasto praticamente l’unico membro fondatore a reggersi il peso della baracca sulle spalle, resistendo imperterrito davanti al microfono come padrino di tutto l’odio verso ciò che è falso, ingiusto, sbagliato, sofferto nel mondo. ”The Abyss In The Silence” è questo: una dichiarazione d’intenti. L’attestazione dello stato di salute di una band che suona hardcore da 15 anni e che non deve dare conto a nessuno di quello che fa se non a se stessa. E, probabilmente, è anche il loro capolavoro. 

La sopravvivenza davanti alla morte dei propri cari, davanti alle pandemie, davanti alle guerre, davanti alla merda a cui gli occhi ti costringono. Un concept basato sulle fasi del lutto che in 23 minuti ti tira fuori otto mine, otto bombe a mano dalle ritmiche serratissime e cadenzate e con riff di dinamica che pescano un po’ dai i Converge, un po’ da i Birds In Row e un po’ dai Neurosis. La voce di Marco mostra la consueta versatilità passando da growl cupissimi a scream acidissimi, con un’intensità che trasuda attitudine da ogni urlo. In tutto questo troviamo una produzione distorta che configura un suono più fangoso e con reminiscenze di sludge nel guitar work, coadiuvata da un paio di comprimarie elettroniche per rendere le atmosfere più sinistre. 

Tematicamente il disco è e una riflessione amarissima sulla nostra caducità a cui fa da contraltare l’autenticità del lutto, ferita che prima ti violenta e poi ti infetta in attesa di cicatrizzarsi con gli anni, man mano che avanzi anche tu verso l’abisso. 

Sulle singole canzoni c’è poco da dire per quanto l’ascolto sia compatto e monolitico. Ascoltate il singolo First Day – a titolo di chi scrive il loro miglior brano di sempre – per farvi un’idea. Se vi piace andate avanti e avrete solo da giubilare.

Come dicevo all’inizio qui non c’era neanche troppo da scriverci una recensione. C’è solo da capire che in merito a certe sonorità siamo davanti a un’istituzione del genere, una creatura olistica che sopravvive alla sua formazione mentre sormonta ostacoli e crisi che avrebbero disintegrato chiunque altro. Giù il cappello, che i capi sono tornati. 

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