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Rammstein – Zeit

2022 - Virgin / Universal
industrial metal

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Tracklist

1. Armee Der Tristen
2. Zeit
3. Schwarz
4. Giftig
5. Zick Zack
6. Ok
7. Meine Tränen
8. Angst
9. Dicke Titten
10. Lügen
11. Adieu


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In Zeit, traccia che dà il nome all’ottavo album dei Rammstein, Till Lindemann chiede al tempo di fermarsi e immagina dovrebbe essere sempre così. In questo ritornello è racchiuso ciò che è nel 2022 il sestetto di base a Berlino: una band con un piede inchiodato al terreno e che gira in cerchio attorno a se stessa.

È superfluo dire che non si possa essere innovatori in eterno, c’è chi ce l’ha fatta ma parliamo di tempi ormai immersi nella nebbia, quindi o prima o dopo una band deve scegliere il proprio terreno di gioco e fare del proprio discorso quel che crede sia giusto. Si può dare atto ai Rammstein di far un uso particolare dei propri elementi costitutivi, bisogna ammetterlo e lo si comprende con il trittico iniziale, oltre alla title track, Schwarz e Armee Der Tristen sono brani avvolti d’amarezza quasi gelida, ma che non riescono del tutto a smarcarsi da un marchio di fabbrica che tende a riporle sempre nello stesso cassetto, senza un tocco che sia uno capace di farle spiccare rendendole quello che dovrebbero essere, ossia il piatto forte. Se si inserisse di nascosto Zick Zack (e relativo video) nella scaletta di “Reise Reise” non stonerebbe, nel senso che il brano sembra uscito da quelle sessioni, ormai vecchie di otto anni.

Spiccano su tutto le tastiere di Flake Lorenz, da sempre narrativamente il bistrattato del gruppo, in realtà resta l’unico che spinge la giostra in altre direzioni, basti sentire il delirio house di Gifting e le svarionate allucinazioni che intesse in OK, forse uno dei pezzi più belli del lotto, proprio perché si discosta a suon di manate dalla formula classica, tra chorus punkadelico, cori e chitarre imbevute di grasso di balena elettrica. Stesso dicasi per le spaventose Dicke Titten (con tanto di marcetta d’apertura e clap hip hop/trap sparsi qui e là) Angst, Rammstein obliqui a se stessi, suoni che detonano, voce che striscia come un’ombra viscida e una pioggia d’odio acido che si riversa in ogni spazio libero, epicità distribuita con la pala e disturbo assicurato. La conclusiva Adieu ha davvero il sapore di un “a mai più rivederci” e fa la differenza nel suo essere ibrido di ballata e cartone piazzato in pieno volto.

Cosa resta di una delle band più raggelanti e perverse di fine ’90 inizio anni Zero? Briciole di ferocia e follia e troppe regole in cui ha finito per impantanarsi. Se “Zeit” fosse un reale congedo, andrebbe benone così. Adieu (?), Rammstein.

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