1. Dark
2. Starless
3. Sunshower
4. Island
5. Waking Up
6. Desolate
7. Paralyzed
8. Where I Was
9. Break Me Open
10. Crestfallen
Raramente capita di riflettere su quanto il fare musica comporti per l’artista un incredibile sforzo emotivo. Nella sua forma più genuina, la quarta arte implica farsi carico di un fardello esperienziale non indifferente, e fare i conti con tutto ciò che la vita ci sputa addosso giorno dopo giorno. Il suono e le parole allora diventano il canale privilegiato – o forse l’unico possibile – per la catarsi, per una autentica purificazione da tutto il peso di vita che sentiamo sulle spalle.
E “Break Me Open” di S. Carey (2022 Jagjaguwar) è espressione manifesta di quanto si possa fare ordine nel proprio animo mettendolo in musica. I quattro anni che separano questo album dal precedente “Hundred Acres” sono stati certamente densi di accadimenti per il batterista e corista dei Bon Iver – un nome che ormai da anni rappresenta una dolce e stabile certezza per gli amanti dell’indie-folk contemporaneo – e le cicatrici sono più vive che mai.
Il matrimonio fallito, la morte del padre, la crescita dei figli: sono queste le tematiche sviscerate ed espiate nei dieci brani che vanno a comporre il disco. Sin dalle prime tracce, un cuore attento sarà in grado di cogliere il tono maturo, mai banale e solido di un confortevole equilibrio tra angoscia e sollievo. Suscita un nostalgico piacere lasciarsi prendere per mano dal trittico di apertura composto dalla straziante Dark, dalla tormentata Starless e dalla più ponderata Sunshower. Si comincia a comprendere meglio la natura del lavoro una volta giunti a Waking Up e Desolate, come si arriva al culmine del processo empatico nell’ascolto di Break Me Open e Crestfallen. Ma è davvero difficile operare una scelta, selezionare un brano che sia più rappresentativo degli altri. Ognuno con le sue peculiarità, tutti ci accompagnano tra i meandri della psiche dell’artista, tutti contribuiscono alla perfetta riuscita di un album che si lascia comprendere ed amare.
Sean Carey si è sempre distinto per uno stile unico e riconoscibile, tanto nella sua carriera solista quanto nei Bon Iver (nel corso di questi ultimi dieci anni ha infatti contribuito a definirne il sound e ne è divenuto un membro cardinale insieme con il fondatore Justin Vernon) e nelle collaborazioni con altri artisti (si pensi alla sua partecipazione all’album “Carrie & Lowell” di Sufjan Stevens). Ma senza dubbio è qui, in “Break Me Open”, che l’artista tocca uno dei suoi punti più alti.
Parlavamo di cicatrici. E appunto, ascoltare questo disco è come guardarvi attraverso, scrutare al di là delle crepe sulla pelle e incontrarvi amori ed errori, passati presenti e futuri; è riflettere della propria umana manchevolezza, prenderne atto e tentare di migliorarsi nel segno della speranza, dell’onestà e della maturità.