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Soft Cell – *Happiness Not Included

2022 - BMG
synthpop / post punk

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Tracklist

1. Happy Happy Happy
2. Polaroid
3. Bruises On My Illusions
4. Purple Zone
5. Heart Like Chernobyl
6. Light Sleepers
7. *Happiness Not Included
8. Nostalgia Machine
9. Nighthawks
10. I’m Not A Friend of God
11. Tranquiliser
12. New Eden


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I Soft Cell meglio di chiunque altro hanno incarnato l’oscurità celata sotto la patina lucida degli anni ’80 del synthpop. A differenza di tanti loro sodali hanno abbracciato le bizzarrie del decennio senza cedere il passo all’essere semplici star e/o meteore, relegate nel comunque inno immortale che fu Tainted Love, ma punti di riferimento di tutta la nascente scena industrial e oltre, fino alla più laida darkwave.

Nonostante la posizione occupata dal proprio (oc)culto al duo sono serviti ben vent’anni per tornare sul medesimo binario, vent’anni che Marc Almond e Dave Ball non hanno passato nell’immobilismo (di certo più il primo del secondo) ma che hanno portato a volersi ricombinare, in una zona oscura tanto quanto potevano esserlo gli anni in cui i Soft Cell sono nati e hanno proliferato, coi loro incubi al neon e la sessualità strisciante che li ha contraddistinti. Quello che ritrovano è un mondo ora come ora non troppo dissimile da quello che guardava al Muro di Berlino, con uno spettro nucleare all’orizzonte a terrorizzare il mondo, già piagato dalla pandemia, un mondo i cui abitanti sembrano non avere imparato assolutamente nulla dai propri errori.

Almond e Ball non sembrano affatto intenzionati a lasciare quei territori/tempi in favore di formule nuove, tanto più che la wave Eighties di cui sono stati fautori si è ampiamente riaccesa. Non per questo decidono di incidere un album privo di anima e intenti, anzi, contenuti. “*Happiness Not Included” è infatti crudo e algido, liricamente infestato da un passato che ristagna e crea pozze tossiche, uno sguardo a sé stessi, al posto in cui si nasce, cresce, invecchia e inevitabilmente si muore. “We can’t sanitize out history/Just because it’s not what we wanted to be/England was built on sorrow and pain/Slavery and ill-gotten gain” è il fraseggio che, come un fucile, apre la title track, poggiata su una base spedita e fredda, flauti che sbucano dall’oscurità e una ferocia post-punk che appicca il fuoco a ciò che le sta attorno. Il “sogno elettronico” si palesa con arroganza su Nostalgia Machine e riporta l’orologio (atomico) all’era in cui casse in quattro e arpeggiatori falcidiavano radio e vinili, mietendo vittime a spron battuto, con tanto di chorus esplosivo.

Non ci provano nemmeno a nascondere questa benedetta nostalgia, tanto che Polaroid è un sogno vivido stampato su carta lucida di una New York che non esiste più, quella di Warhol e dei Suicide, tanto prepotentemente feroce che potrebbe essere uscita dal loro “A Way Of Life”, sul versante più pop, uno scoglio su cui si arrampicano dando respiro alla voluttuosa Purple Zone (impreziosita da una versione ancor più naughty assieme ai Pet Shop Boys). Il buio si fa terrore incarnandosi nella gola di Almond che fa di Nighthawks uno spaventoso attacco digitale, contraltare all’abbandono nel grigiore di Happy Happy Happy e a I’m Not A Friend Of God, bdsm cibernetico che attesta il non essere cambiati nemmeno sul versante religioso e umano. Marc non è amico né di dio, né degli altri e forse nemmeno di se stesso e non ha il timore di sbatterlo in faccia ululando al microfono, quasi godendo(ne).

Ci si può chiedere se una band possa raggiungere il proprio picco artistico a quarant’anni dal proprio debutto. I Soft Cell sembrano di rispondere affermativamente aprendo ad un parco giochi abitato da soli mostri. Loro dicono che un po’ di speranza utopica ci sia, in “*Happiness Not Included”, e magari è anche vero, ma le intenzioni e la resa sono cose differenti. Da queste parti la temperatura cala vertiginosamente, ed è la cosa più bella di tutte.

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