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Nascita e rivoluzione della seconda ondata emo: “Diary” dei Sunny Day Real Estate

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Non è mai facile provare a descrivere cosa significhi davvero la parola “emo”. Negli anni è stata associata più e più volte, partendo in ordine sparso, agli adolescenti con il ciuffo sul viso che si tagliavano le vene, ai Tokio Hotel, ai jeans stretti, alle Vans con la scacchiera e agli innumerevoli servizi di Studio Aperto tra il 2007 e il 2009 dedicati ai ragazzini dell’epoca, cercate pure. Per me è soltanto una cosa, “Diary” dei Sunny Day Real Estate, ovvero da dove tutto è cominciato, se vogliamo proprio dare un senso al termine. Il 1994 è stato l’anno cardine, uscivano l’ultimo disco indipendente dei Jawbreaker, registrato con Steve Albini, “Shmap’n Shmazz” dei Cap’n Jazz, ma soprattutto è stato l’anno in cui i Sunny Day Real Estate fecero breccia con il loro “Diary”.

L’abbinamento delle linee di chitarra fluide e la voce angelica di Jeremy Enigk sono ciò che continua a far risaltare la band dopo tutti questi anni e riascoltandolo oggi non sembra un disco di 28 anni fa. Fino alla nascita di “Diary”, la maggior parte delle band post-hardcore/emo utilizzavano voci ringhianti e perforanti che a volte viravano nel territorio melodico, i testi erano quasi incomprensibili e richiedevano uno sguardo alle note di copertina per capire cosa si diceva. Con i Sunny Day Real Estate, tutto ciò cambiò, nel bene e nel male, poiché i successori negli anni a venire lasciarono che la sezione ritmica costituisse il grosso dell’aggressività, con le chitarre libere di creare melodie omogenee. Non voglio parlar male dei Weezer o dei Jimmy Eat World, due dei più importanti gruppi che si sarebbero “concessi” alle major, ma il motivo iniziale del genere era dimostrare che essere punk non significava necessariamente essere incapaci di provare emozioni, e loro, insieme ai gruppi emo contemporanei, hanno di autentico soltanto il nome, forse.

“Diary” trasuda ancora oggi una ventata di freschezza, l’interazione strettamente bloccata tra ogni componente della band è semplicemente sorprendente e va oltre una questione di chitarra contro voce, basso contro batteria o chitarra contro chitarra, ogni pezzo si inserisce nel puzzle più grande in un numero apparentemente infinito di modi, con ogni ascolto che rivela qualcosa di diverso.

Le linee di chitarra di Dan Hoerner e Enigk sembrano anticiparsi a vicenda mentre Nate Mendel e William Goldsmith spingono e tirano il ritmo tra le note. Per esempio in Seven – una delle canzoni più famose, con i suoi ritmi schiaccianti e il riff incessante di Hoerner – ogni membro della band portò oltre il limite il proprio stile distintivo. Goldsmith suonava ogni battito con intento maniacale, mentre Mendel era quasi l’antitesi, persuadendo e accarezzando le note del suo basso, Enigk raggiungeva la stratosfera quando suonava e cantava, “you’ll taste it, you’ll taste it”, la pelle d’oca.

Per non parlare del fatto che i Sunny Day Real Estate furono direttamente influenzati dai Fugazi e finirono per influenzare a loro volta praticamente tutte le band della successiva ondata che si scatenò tra il ‘94 e il ‘96, come Texas Is The Reason, Mineral, The Promise Ring e anche gli At The Drive-In gli sono in certa misura debitori. Furono inoltre la principale fonte d’ispirazione per la nascita del midwest emo, pur provenendo dall’estremo ovest, Seattle.

Guardando indietro 28 anni dopo, è impressionante come i Sunny Day Real Estate siano riusciti a imbottigliare e mantenere la tensione per tutta la durata del disco, sembravano dare tutta la loro energia in ogni canzone, qualcosa che la maggior parte delle band fatica a padroneggiare in un solo brano. I Sunny Day Real Estate mostrarono abilmente che l’emo meritava giustamente rispetto, avevano portato il genere il più lontano possibile, tracciando la via per l’esplorazione di un territorio più fertile.

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