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Interviste

Un nodo alla gola: intervista ai Lleroy

I Lleroy sono tornati potenti e feroci come non mai con il loro nuovo album “Nodi” (qui la nostra recensione) pubblicato da Overdrive. Per l’occasione abbiamo incontrato Francesco Zocca per andare un po’ più a fondo alla loro nuova creatura.

Ciao ragazzi, come state? Come avete passato gli ultimi due anni di fermo musicale? 

Ciao, dai… Dopo due ondate pandemiche e ora con il rischio di essere vaporizzati da un momento all’altro, abbastanza bene! Questi ultimi due anni li abbiamo passati a lavorare (perché quella era l’unica cosa che potevamo fare), a provare e registrare il nuovo album e infine nel tempo libero a non essere lucidi.

Passiamo subito al vostro “Nodi”, come avete scelto il nome del disco e quanto ci è voluto per finalizzare il lavoro? Per chi magari vi ha scoperto di recente, ci dite anche da cosa deriva il nome Lleroy? 

Il titolo dell’album vuole spiegare alcuni stati d’animo ed atteggiamenti cronicizzati, frutto di traumi quotidiani, che, anche se sbagliati, non riusciamo a toglierci ed abbiamo imparato ad amare. Il nostro nome può voler dire molte cose: dal “re” a “gli eroi”, un conflitto di interessi con Leroy Merlin, un omaggio al personaggio selvaggio di Gene Anthony Ray (Leroy di “Saranno Famosi”), decidi tu quale preferisci. Ci suonava bene e ce lo siamo tenuti.

Come si sono svolte le sessioni di composizione di “Nodi”? Sempre in sala prove o c’è anche una componente digitale?

L’album è stato concepito interamente in sala prove, non ci sono componenti digitali, si improvvisa, si mettono a fuoco le parti più interessanti e si plasma un pezzo. Come sempre.

Ormai il vostro stile è diventato un marchio di fabbrica, riconoscibile e ben definito. Dall’interno come percepite l’evoluzione del vostro suono in questo disco? Eravate già partiti da quest’idea durante la composizione oppure si è modificata nel tempo?

Ogni disco è diverso, è la foto di un periodo, benché la strumentazione più o meno sempre la stessa. Rispetto a “Dissipatio hc” credo sia più arrabbiato e meno disilluso, arrabbiato positivamente però, catchy.

Nella nostra recensione parliamo del significato dei testi e dell’utilizzo delle parole. Vi chiederei di scegliere un brano in particolare e spiegarci per quanto possibile cosa significa per voi e come avete scritto il testo. 

Oddio, non si può dare un significato a tutto. Credo che il testo di Cane Maggiore sia quello più esaltante per me. Una specie di reinterpretazione del concetto di superuomo che si rivela un povero diavolo, non si riconosce, si ostina, la risposta può solo averla da un cane non dalle persone. Se non ti avvicini tu agli altri, nessuno lo farà.

Se doveste trarre un’idea principale che questo disco vuole trasmettere, quale sarebbe? In che stato volete lasciare l’ascoltatore dopo aver sentito “Nodi”?

Questo disco spera di arrivare in profondità anche in modo inconscio attraverso l’ascolto ad alto volume. L’ascoltatore deve essere schiaffeggiato amichevolmente e alla fine dire “oh ecco, lo sento”.

Da una band con un’attitudine hardcore come voi, non ci saremo aspettati una collaborazione con un violoncellista, in questo caso Giuseppe Franchellucci. Ci raccontate com’è nata e come mai avete deciso di includere questo tipo di suoni nel vostro disco?

Beppe lo abbiamo conosciuto al Cabot Cove (la nostra sala prove), è delle nostre parti ma non c’eravamo mai trovati prima. Dopo qualche jam insieme abbiamo pensato di inserirlo nei due pezzi più dilatati del disco per dare più dinamica. Lui è un professionista con un background non classico, ha capito subito cosa volevamo e ce l’ha regalato con piacere. Ci ha svoltato quei pezzi, il disco è salito ad un livello superiore.

La produzione e la qualità di registrazione di “Nodi” sono davvero notevoli, i suoni sono davvero caldi e veri. Come vi siete trovati nello studio Sotto il Mare di Luca Tacconi? E come avete lavorato con l’ormai leggendario Giulio Ragno Favero? 

Beh Giulio lo conoscevamo, ci registrò il primo disco! E’ stato bello ritrovarsi, bello e strano in un momento come quello, una settimana di “vacanza” per noi dentro una pandemia. Lui è una garanzia per il nostro genere, forse l’unico in Italia che può dare quel tipo di “botta” sonora. Sotto il mare è uno studio incredibile e Luca una persona fantastica e super disponibile. Con questa combo non potevamo sbagliare.

Quali sono gli artisti che vi hanno influenzato oppure che stavate ascoltando nel periodo di creazione di Nodi? Non parliamo per forza di musicisti, anche film o quello che credete possa c’entrare. 

Parlo personalmente: in quel periodo ero andato sotto con Thundercat, Vulfpeck e Fearless Flyers, in generale il funk e black music anche vecchia.

Con un certo grado di contentezza per la ripresa delle attività musicali dal vivo, sappiamo del vostro concerto al Locomotiv per la release del disco, com’è andata la serata? Raccontateci un po’ chi c’era e cos’è successo.

Una serata magica, tutti i gruppi hanno spaccato e il pubblico trasmetteva la voglia di trovarsi lì in quel momento e l’entusiasmo di rivedere un sacco di volti amici tutti insieme dopo due anni. Ne avevamo bisogno un po’ tutti.

Cosa prevede il futuro prossimo dei Lleroy? sarete impegnati in un tour o ci sono altre sorprese in serbo?

A maggio saremo a La Tenda a modena, poi al Bloom e al Dong di Recanati. Stanno uscendo delle date estive, abbiamo bisogno di suonare il più possibile.

Vi ringrazio per la disponibilità e vi lascio uno spazio per ringraziare o citare chi volete.

Ci teniamo a ringraziare tutti quelli che direttamente o indirettamente hanno dato vita a questo disco. In particolar modo a Overdrive rec, che ha creduto in No(d)i, e alla crew di Grandine e il Cabot-Cove, la nuova fucina dell’underground bolognese che ci ha accolto e supportato sempre. Ma anche a te che nel 2022 leggi le webzine e compri dischi di band non famose ma che si sbattono.

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