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Interviste

Quando il rap si fa divulgazione: intervista a Zona Mc

Stefano Mularoni, in arte Zona MC, musicista e professore di storia e filosofia nei licei del riminese: due passioni che si fondono alla perfezione nel suo ultimo album “Storia della RAPubblica 1943-1953. I veri anni di piombo” (qui la nostra recensione). Testi straripanti e intrisi di storia, che con il flow tipico del genere ripercorrono quel decennio fondamentale della storia repubblicana con due intenti, divulgare ed escludere pericolosi revisionismi. Un disco e un progetto tanto inimitabili quanto necessari. Lo abbiamo incontrato.

Ciao caro Stefano, è davvero un piacere poterti intervistare. Partiamo dal presente: da dove nasce l’ispirazione per il tuo ultimo album, ‘Storia della RAPubblica’? L’instabilità dell’ultimo biennio, trascorso tra un’emergenza sanitaria e importanti vicende di carattere geopolitico, ha contribuito in qualche modo a suscitarti l’analisi critica di quel delicato decennio ‘43-’53 (definito come ‘i veri anni di piombo’)?

L’ispirazione di questo album mi è venuta l’anno scorso, quindi proprio nel periodo che descrivi, ma è in realtà rivolta univocamente verso il passato, verso l’insegnamento di quella storia che, per vari motivi, spesso non riesco a insegnare (o comunque non come vorrei) nelle mie supplenze scolastiche di Storia e Filosofia. Anche gli studenti sembrano desiderarlo, due esempi: quando in classe spiego qualche aspetto della storia dell’Italia repubblicana (invece di parlare di Aristotele o Federico II, per capirci) l’interesse degli studenti aumenta notevolmente; anni fa, proprio per compensare i programmi (che spesso si riescono a svolgere solo fino alla seconda guerra mondiale) ho tenuto in un liceo un corso pomeridiano di storia contemporanea: era facoltativo e non forniva nessun credito aggiuntivo agli studenti, eppure avevo sempre l’aula piena! Intanto il rap è ormai diventato il nuovo pop, senza però recuperare una tradizione realmente “popolare”, nonostante le sue origini afroamericane e quindi intrinsecamente antirazziste, antischiaviste e direi quindi intersezionali lo renderebbero un genere perfetto per narrare la nostra storia dal punto di vista delle classi lavoratrici, come ha sempre fatto appunto la musica “popolare”. Certo, non si tratta di sostituire la didattica tradizionale con quella musicale: io pratico entrambe e un metodo didattico rilancia l’altro (anche se a scuola continuo a usare più la prima). Forse però anche il presente mi ha ispirato ma diciamo per contrasto, inconsciamente: ricordo infatti di aver vissuto i dibattiti relativi all’emergenza pandemica come una catastrofe ideologica, la morte definitiva dell’attenzione per quei temi economici, politici e giuridici che nella fase del “sovranismo” erano ancora centrali, anche se in modo populista, fuorviante o rischioso. A ciò si è sommato il disprezzo per l’uso strumentale della storia, ossia per il revisionismo che trovo ormai ovunque, dai libri ai giornali passando per il web: dai film in cui Auschwitz viene liberata dagli americani (rimuovendo così il ruolo dei sovietici e attribuendo falsi meriti agli USA) agli editoriali in cui il Governo Parri scompare e si cita sempre e solo De Gasperi (rimuovendo il ruolo dei partigiani nella nascita della Repubblica, in una falsificazione democristiana), il quale a sua volta viene ritratto senza ombre…Più in generale: non seguo l’ispirazione, è l’ispirazione che “segue” (nel senso che viene dopo, quasi evocata da) un mio percorso di studi, quasi come un’inattesa luce in fondo a un tunnel che si stava percorrendo al buio, in cerca di altro.

Il processo creativo che regola la stesura dei tuoi pezzi è rimasto lo stesso durante i lockdown dell’ultimo biennio? Molti artisti affermano di trarre ispirazione dall’isolamento, ma ho riscontrato opinioni contrastanti in merito agli effetti di queste chiusure obbligate.

Durante il lockdown del 2020 mi sono completamente bloccato: non so bene perché, forse perché volevo capire che cosa stava accadendo prima di scrivere qualcosa sul tema, quindi mi sono dedicato allo studio (del presente e, appunto, del passato), intensificandolo a scapito della voglia di pubblicarne i risultati, fino all’esplosione nell’estate del 2021, quando ho steso in poche settimane i testi e le musiche di “Storia della RAPubblica”.Ho scoperto quindi che l’isolamento forzato non mi ispira, mi soffoca ma anche che, parafrasando una nota massima, ciò che non mi soffoca del tutto mi (ci?) fa poi parlare il doppio.

Il rap, che nasce come genere musicale strettamente connesso alla critica sociale, si lega a forme poetico-musicali antiche molto simili – penso al giambo greco o alla satira latina; c’è una matrice classica dietro ai testi colti che proponi? Mi viene in mente ‘Filosofia greca’, terza traccia di ‘Ananke’!

In realtà conosco soprattutto la filosofia (e un po’ di storia) greca e romana, non la poesia o la letteratura, quindi non posso vantare nessun legame formale con la classicità! A livello di contenuti invece l’antichità è presente fin dai miei primi dischi (v. Ananke) ma appunto in una forma che di classico non ha quasi niente e deriva più dagli USA che dall’antica Grecia (e non è un giudizio di valore positivo o negativo, è un fatto: ai posteri l’ardua sentenza!).

Ti ispiri ad alcuni tuoi colleghi del mondo rap, del passato o del presente?

Tantissimo, soprattutto in questo disco ma avviene senza che me ne accorga: ho imparato a rappare con l’ascolto adolescenziale e ossessivo di mc come 2Pac, Nas, Wu-Tang Clan, Big Pun, Big-L e, in Italia, Sangue Misto, Kaos, Fibra, Esa, Word e tantissimi altri. Sul piano musicale questo disco è di fatto un tributo a DJ Premier (e quindi al campionamento, in questo caso di musica degli anni ‘40 e ‘50) ma di solito, anche sul piano dei contenuti, mi ispiro di più ai rapper sperimentali e a quelli che nello slang HipHop vengono definiti “conscious”: quindi da Krs One (vedi la sua idea di edutainment, senza cui il mio ultimo disco sarebbe inconcepibile!), Lauryn Hill o Murubutu fino a Company Flow, Aesop Rock, Uochi Toki…Infine, nei freestyle, mi ispiro a grandi mc come Moddi o Danno, i quali parlano per ore improvvisando in rima come se niente fosse, in modo molto diverso da quelli che invece definirei “comici”, ossia quelli che procedono con punchline e dissing che funzionano di più quando sono preparati a casa.

Esiste una frase o addirittura una parola che descriva in pieno lo scopo della tua arte?

“Nietzsche” (nel senso in cui l’arte non ha un solo scopo ma è al contrario il solo scopo dell’esistenza, che può e deve diventare a sua volta un’opera d’arte!).

Hai già in mente nuovi progetti per il futuro?

No, ho solo progetti “per” il passato: scherzo ma non scherzo!

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