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White Ward – False Light

2022 - Debemur Morti Productions
post black metal / avantgarde / dark jazz ambient

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Tracklist

1. Leviathan
2. Salt Paradise
3. Phoenix
4. Silence Circles
5. Echoes In Eternity
6. Cronus
7. False Light
8. Downfall


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Davvero difficile alzare l’asticella dopo quel capolavoro del 2019 chiamato “Love Exchange Failure”, pensavo…ed invece mi sbagliavo alla grande!  Con “False Light” gli ucraini White Ward riescono a fare addirittura meglio, sia nella parte tecnico compositiva e strutturale, sostanzialmente perfezionando una formula già collaudata, che nella parte comunicativa ed emozionale.

Inevitabile non fare un piccolo rimando alla situazione drammatica che sta vivendo il popolo ucraino, ed anche se la band di Odessa ha registrato il disco lo scorso inverno, le avvisaglie di un terribile ed imminente presagio purtroppo si facevano già sentire. Il disco non risentirebbe dunque direttamente di quell’enorme tragedia che di lì a poco avrebbe sconvolto la vita del popolo ucraino, ma in realtà il sentore o un presagio nerissimo serpeggia chiaramente tra le note ed è tangibile una fortissima tensione dall’inizio alla fine. Infatti, l’ascolto del lavoro risulta decisamente ed altamente emozionale, profondo e catartico, peculiarità già ampiamente presenti nel sound dei White Ward ma probabilmente amplificate dall’attuale realtà, basti ascoltare la bellissima opener Leviathan in tal senso.

L’immagine in copertina, sempre in antitesi con i classici artwork o comunque differente dalla maggior parte delle copertine del genere, (nessuna immagine di foreste o in generale di paesaggi naturalistici, né rimandi esoterici o votati all’occultismo, così come nel precedente “Love Exchange Failure”) da’ l’impressione che la sensazione principale che pervaderà l’ascolto sarà la desolazione e l’isolamento. Ma se nella bellissima cover art del lavoro del 2019 si evocava un isolamento in mezzo ai palazzi di una metropoli regno dell’incomunicabilità tra le persone, in “False Light” questo aspetto è ancora più evidenziato con l’immagine di un’abitazione totalmente ed inequivocabilmente isolata, a rappresentare un’emarginazione forzata e totale.

I testi concettuali, distopici e ricchi di significato delle 8 tracce del disco sono fortemente ispirati dalle opere dello scrittore ucraino impressionista Mykhailo Kotsubinsky, dal poeta della Beat Generation Jack Kerouac e dallo psicanalista Carl Jung, mentre dal punto di vista strettamente musicale lo spettro dei Neurosis  aleggia sempre di più, fortissima influenza per i Whitw Ward, come ad esempio nel folk apocalittico dell’intensa Salt Paradise, dove, senza nulla togliere alla prestazione vocale di Jay Gambit dei Crowhurst, avrei sentito benissimo la voce di Steve Von Till come ospite a duettare con i meravigliosi intermezzi di tromba prima e del sempre imprescindibile sax poi.

L’unica vera differenza sonora rispetto al disco precedente è l’aggiunta qua e là di qualche passaggio vagamente più post rock, ma in particolare sono presenti in maggior misura momenti ambient-dark-jazz che catapultano l’ascoltatore improvvisamente in qualche jazz club fumoso in tarda nottata. Le parti più propriamente black metal sono ineccepibili, con il classico preciso blast beat, così come alcuni tecnici assoli di chitarra tipici del genere ma con un utilizzo forse più moderato e soprattutto maggiormente maturo delle usuali sfuriate o cavalcate che si alternano in maniera impeccabile con momenti meno frenetici e più cadenzati ed altri ancora ragionati, ariosi ed intimi.

Esempio perfetto di tutte queste peculiarità perfettamente mixate è il terzo brano Phoenix, o anche la successiva Silence Circles, con la presenza di addirittura tre voci differenti, una più pulita dal sentore gotico, una più growl e la voce in scream del cantante e bassista della band, che danno maggior colore al brano in questione, degno di nota poi il sempre ottimo sax impazzito nel finale. Reputo proprio la maestria nell’utilizzo del sassofono, strumento sicuramente non proprio tipico del genere, il vero valore aggiunto della band, ma il sassofonista Dima Dudko, con la sua sensibilità nel suonare davvero notevole, riesce a dare una marcia in più all’intera produzione con i suoi inserimenti mai invasivi e di qualità, in alcuni casi da mozzare letteralmente il fiato. Un impiego mai fine a se stesso o abusato, davvero vario a seconda della necessità, a volte aggressivo o schizofrenico, in altri casi a sottolineare alcuni momenti arricchendo dei passaggi, oppure atmosferico come nella breve strumentale e sinuosa Echoes In Eternity, nella quale fa capolino addirittura anche un contrabbasso.

Il finale del disco non sposta di una virgola il mood dell’intero lavoro in termini di intensità, come nell’evocativa Cronus dove ricompare una voce pulita prima dell’esplosione e se possibile si innalza ancora di più la tensione emotiva a tratti palpabile e che raggiunge il climax probabilmente nell’omonima False Light, nella cui parte centrale introspettiva si ritrova la presenza del contrabbasso che crea delle trame nelle quali si inserisce per l’ennesima volta alla perfezione il sax, così come negli echi e riverberi gregoriani della conclusiva ed inquietante Downfall, che ci lascia un po’ tutti così sospesi ed incerti sul futuro.

Altro punto di forza dei White Ward è dato senza dubbio dagli ottimi arrangiamenti nei quali sono diventati dei veri e propri maestri, soprattutto per l’aggiunta dell’utilizzo ancora più ampio di strumenti diversi come tromba, pianoforte ed il piano Rhodes, usati però sempre in modo morigerato e ad hoc, così come quello di varie e differenti voci, che hanno come risultato finale quello di evitare la monotonia e di rendere il lavoro ancora più variegato.

In definitiva, i White Ward si potrebbero definire degli abili alchimisti capaci di dosare sapientemente materie differenti, anche molto lontane fra di loro, ma riuscendo a mescolarle magistralmente. Ascoltando “False Light” non si può non notare ciò in maniera lampante. Attualmente in ambito post black metal difficilmente si potrà trovare qualcosa di meglio, siamo ai vertici assoluti.

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