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Back In Time

“Happy Songs For Happy People”, la quarta sinfonia dei Mogwai

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Sono nato nel 1990, quando i Mogwai pubblicarono il loro album d’esordio “Young Team” avevo 7 anni, chiaramente non sapevo nemmeno chi fossero, come non potevo sapere che a distanza di dieci anni, più o meno, sarebbero diventati uno dei gruppi di riferimento per la mia crescita musicale, sia come “musicista”, sia come semplice ascoltatore.

Il primo ricordo che ho dei Mogwai risale all’ascolto di Take Me Somewhere Nice, brano incredibile e forse uno dei più “mainstream” dall’album “Rock Action” del 2001, da lì in poi iniziò uno studio approfondito di tutti i dischi pubblicati fino ad allora, in realtà quattro dischi, “Mr. Beast” venne pubblicato poco dopo.

Iniziai ad ascoltare la discografia al contrario, partendo dall’ultimo “Happy Songs For Happy People”, e penso sia stato proprio questo a farmi innamorare totalmente di questo disco, il primo ascoltato dritto dritto dall’inizio alla fine, un territorio nuovo e inesplorato, che una volta scoperto e fatto mio, regalava sensazioni di certezza ed equilibrio, in un periodo che non ne aveva proprio, quello dell’adolescenza, dove sei continuamente sballottato all’interno di un vortice buio ed insicuro.

Il post rock è così affascinante perché riesce a raccontare storie, fissando nella tua mente immagini ed emozioni senza l’aiuto di un testo, spetta a te lasciarti trasportare attraverso bellissimi e a volte tristi paesaggi onirici che risuonano nella tua mente solo grazie alla parte strumentale, oltre le parole, oltre la pretesa, ed “Happy Songs For Happy People” non fa eccezione. Anzi, a mio modo di vedere è la vera essenza del post rock, racconti attraverso emozioni e suoni puri, anche se trovo che questo disco abbia una scrittura molto più pop, passatemi il termine, rispetto ad altre produzioni dei Mogwai, che non è un male, anzi, il tutto viene bilanciato da una produzione ambiziosa e dai riff caratteristici di Stuart Braithwaite alla chitarra.

Ogni brano ha la propria personalità, il proprio mondo, il proprio carattere, chitarre emotive e uso del vocoder la fanno da padrona sulla maggior parte dei pezzi e risulta essere a mio modo di vedere un vero e proprio distillato di tutta la loro essenza. “Happy Songs For Happy People” non suona come il più famoso “Young Team” ed è totalmente diverso rispetto a “Rock Action”, uscito solo due anni prima. È un disco di enorme profondità emotiva e sentimento, con la voce sommersa da una coltre claustrofobica di effetti e chitarre che s’intrecciano con viola, violino, violoncello e pianoforte creando quel pizzico di melanconia.

Quando ho deciso di scrivere questo “Back In Time” avevo già bene in mente che cosa avrei voluto esporre fin dall’inizio, ovvero l’importanza della musica strumentale nella nostra cultura. Non sto parlando solamente di un livello musicale ma anche più propriamente di un livello artistico. Dopotutto è stata usata da tutti, da Beethoven a Stanley Kubrick (tra l’altro i Mogwai nel 1999 dedicarono un brano al regista statunitense) a David Lynch, per martellare determinati momenti, è praticamente una costante culturale su cui tutti dovremmo fermarci a riflettere, principalmente perché le parole sono implementate in modo così sconsiderato e il più delle volte possono rovinare una cosa davvero buona.

Happy Songs For Happy People” è un disco maturo e sottile, tecnicamente esperto ed emotivamente carico e viscerale. In breve è un riassunto di tutto ciò che è fantastico nella musica dei Mogwai, è la perfetta espressione di pura malinconia, tristezza, gioia, dolore e speranza, ma la cosa che rende davvero speciale questo disco è la tensione ribollente in ogni brano, che sceglie spesso di non esplodere come ci si aspetterebbe, eppure in qualche modo, alla fine ti ritrovi Hunted By A Freak.

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