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Interviste

Un’infinita partita a scacchi: intervista ai Calibro 35

(c) Attilio Marasco

I Calibro 35 sono una delle realtà musicali più interessanti della nostra penisola. Abbiamo scambiato due chiacchiere con il chitarrista e tastierista Massimo Martellotta in occasione dell’uscita del nuovo album, “Scacco al Maestro – Volume 1” (qui la nostra recensione), la prima parte di un affettuoso e sapiente omaggio all’opera di Ennio Morricone.

Caro Massimo, è per me un onore ed un onere avere la possibilità di intervistarti. Ma prima di tutto, come stanno i Calibro 35?

I Calibro 35 stanno bene. È da un po’ che non suoniamo in giro, e da questa estate – finalmente – riprenderemo con i concerti. Anche l’autunno sarà segnato da un bel tour nei teatri. Insomma, siamo carichi e contenti.

“Scacco al Maestro Vol. 1”, questo il nome della prima parte di un dittico che vi ha tenuti impegnati e continuerà a farlo per un po’ di tempo. Ebbene, che sensazione si prova a sedersi al tavolo del Maestro Morricone ed invitarlo a dipanare le sue strategie su di una scacchiera?

Il riferimento agli scacchi tiene senz’altro conto della passione che Ennio Morricone aveva per questo gioco. Non facciamo segreto poi del fatto che, con questo titolo, abbiamo espressamente voluto richiamare l’aspetto ludico della musica. Quindi, gioco degli scacchi e musica come gioco. Ciò però non toglie che il nostro approccio a questa sfida sia stato molto rispettoso. Il disco, infatti, non nasce da una decisione repentina, bensì da una quindicina di anni di frequentazione con il repertorio del Maestro Morricone, un bagaglio artistico che abbiamo avuto modo di trattare – con i guanti bianchi – in vari modi e a vario titolo, anche e soprattutto in occasione di molti spettacoli dal vivo. E alla fine, un paio di anni fa ormai, abbiamo deciso di lavorare ad un documento che potesse lasciare un segno di questo intenso legame.

È innegabile – se non addirittura lapalissiano – che la Musica del Maestro Morricone abbia avuto una grande influenza sulla vostra produzione sin dagli albori, ed è naturale che ad un certo punto si avverta l’esigenza di concretizzare questa riverenza. Ma perché proprio ora? Qual è stata la scintilla che ha dato il via a questa epopea?

Sicuramente, in questo grande puzzle, la scomparsa di Ennio Morricone è stata un po’ – come dire – il tassello mancante. Ma a differenza di tanti altri tributi e celebrazioni che si sono avvicendati nel corso dell’ultimo anno, il nostro è stato scandito da una tempistica quasi casuale, nel senso che arriva in un momento che a noi sembrava ottimo, perché fuori da tanti opportunismi. Questo album è un contributo affettivo ad un collega ultraterreno, ad un gigante della Musica – per noi, tra i dieci compositori più influenti di sempre – che è vitale e d’ispirazione per molti e su molti livelli.

(c) Attilio Marasco

Ennio e Cinema sono ormai come sinonimi. Anche la vostra carriera è legata a doppio filo alla settima arte, sia direttamente che indirettamente. Secondo voi, cosa accumuna il linguaggio musicale e quello cinematografico? E ancora, credete che possa esistere musica senza cinema?

Il cinema ha molto bisogno della musica, più di quanto la musica abbia bisogno del cinema. Ma – sono sincero – mi hai indotto a pensarlo per la prima volta nella mia vita. La musica si porta dietro tutte le immagini che l’ascoltatore crea nella propria testa, e spesso è capitato che molte persone ci hanno raccontato il tipo di film che si fanno mentre ascoltano un nostro brano. Questo è tipico della musica strumentale, una delle cose più belle ed evocative, un effetto collaterale per cui dimentichi gli strumenti e parti per un tour dei castelli in aria. Tornando al focus della domanda, è chiaro che il cinema non può vivere senza musica: non è un caso, infatti, che il compositore sia accreditato tra gli autori di un film, poiché lo scrive e lo firma tanto quanto lo sceneggiatore ed il regista. Il suo apporto autoriale alla narrazione è fondamentale.

Ad anticipare l’uscita dell’album è stato il singolo La classe operaia va in paradiso, tratto dalla colonna sonora dell’immortale capolavoro di Elio Petri. Forte è stata la vostra scelta di presentarlo in anteprima al Primo Maggio di Taranto. Credete che questa pellicola abbia conservato l’eccezionale impeto artistico con cui spaccò nettamente in due la critica alla sua uscita nel 1971? Parla ancora all’Italia di oggi?

Non è stata casuale la scelta di pubblicare il singolo in occasione del Primo Maggio e di suonarla dal vivo per la prima volta a Taranto. Farla lì, in quel contesto, è stato davvero forte: l’intenzione era quella di gettare una luce su di un tema sempreverde, sempre importante, sempre attuale. Abbiamo davvero avuto conferma di quanto la musica abbia e possa avere un peso importante nella nostra quotidianità. Non siamo mai stati appositamente troppo politicizzati, tuttavia abbiamo delle idee ben chiare su cosa sia il lavoro; anche perché noi stessi ci riteniamo dei lavoratori, degli artigiani. Per quanto concerne la pellicola di Petri, è noto che non incontrò l’approvazione di nessuna fazione politica, poiché agitò un certo tipo di tematiche in maniera molto forte e divisiva. Ed anche questo brano di Morricone che la accompagna ha una potenza straordinaria: è forse – passami il termine – il suo brano più punk, un tango marchiato a fuoco da suoni che richiamano proprio la classe operaia, la fabbrica che lavora, la fatica, gli spigoli, la reiterazione, la catena di comando. Si tratta di un pezzo icona, tant’è che è quasi buffo sentirlo passare sulle radio mainstream alle due di pomeriggio, fosse anche solo per due minuti. Questa bizzarria produce uno straniamento fortissimo, ma dà anche una certa soddisfazione.

Bene, c’è stata l’apertura ed ora siamo nel mediogioco. Per il finale, è previsto uno scacco matto?

Ah, questo non so dirtelo, e forse non lo sapremo mai. Spero che sia una di quelle partite infinite, che terminano solo con lo sfinimento. Patta per sfinimento, forse. Ma chissà, ne riparleremo quando uscirà il Volume 2.

(c) Attilio Marasco

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