Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Zola Jesus – ARKHON

2022 - Sacred Bones
art pop

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Lost
2. The Fall
3. Undertow
4. Into The Wild
5. Dead And Gone
6. Sewn
7. Desire
8. Fault
9. Efemra
10. Do That Anymore


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Sembra passato ben poco tempo da quando Zola Jesus fece la sua comparsa sulle scene della musica “altra” e invece da “The Spoils” di anni sono già 13 e ad ogni passo il viaggio attraverso gli stili è stato portatore di un’impronta sempre più personale e matura, quando già aveva dato prova di essere più che elaborata, ma il cui compimento sembrava sempre rimandato all’album successivo, permettendo una crescita sempre maggiore.

Non si smentisce nemmeno giunta al suo sesto album, Nika Roza Danilova, riunendo attorno a sé tutto ciò che ha seminato da “Conatus” a “Okovi”, ogni elemento di novità diventato presto parte integrante del suo progetto, ma che sbiadiva ad ogni passo seguente, cambiando direzione. Non che in “ARKHON” questo slancio in avanti sia assente, anzi, al contrario pur rimettendo assieme i pezzi del puzzle è riuscita nell’intento di costruire un’architettura estremamente solida attorno ad un disco che più differente dagli altri non potrebbe essere. Lungi dall’essere finito, il mosaico acquisisce un nuovo pezzo importantissimo nella figura del batterista Matt Chamberlain e, ancora una volta, a Zola Jesus basta spostare un pezzo sulla scacchiera per trasformarsi.

Il “potere” racchiuso nella traduzione dal greco antico del titolo è foriero di un’oscurità che, secondo l’artista originaria dell’Arizona, è in grado di bloccare l’umanità in uno stato catatonico e schiacciata da un potere oscuro che non la rende libera. Intenso e organico, l’album racchiude nelle composizioni un lato di rara luminescenza, una forza naturale che straborda in ampie distese epiche, quale che sia il genere a cui vanno ad appoggiarsi. Brani dal respiro d’immensità come Desire sono vette pop quasi irraggiungibili da tanti omologhi che sguazzano nel non-allineato, lanciate con la catapulta invincibile che è l’ugola di Nika per non atterrare mai a terra. Il lato elettronico del progetto è sempre marcato e ben presente (oltre che riconoscibile) ma ora subisce una mutazione verso lidi in cui la mano umana lascia un segno indelebile e Sewn si fa portavoce di una delirante attrazione verso il rock più rumoroso, fatto di chitarre stridenti e velocità, sanguinante esposizione alla distorsione più granitica, mentre a certo art-pop contaminato indie si rifanno The Fall, Undertow e la conclusiva Do That Anymore, con Chamberlain a dare la spinta in tal senso, senza snaturarne il cuore pulsante a ritmo sintetico.

Non è paga la sete misterica di Zola Jesus si riaffaccia nelle percussioni diafane di Lost, un canto che trasporta in luoghi ameni, esplorati a fondo nelle digressioni electro che circondano la disgregante Fault e la più tribale ed elegiaca Efemra, comunque deformata dalla grana grossa di sintetizzatori disarmonici, come un cortocircuito che avviene in presa diretta a risucchiare la luce per rimetterla in circolo ciclicamente.

Francamente non so come Nika non sia ancora entrata nel Pantheon delle artiste regine di un certo art pop che di questi anni sembra essere distribuito a chiunque, perché meriterebbe non solo un posto tutto suo, ma probabilmente quello più alto in assoluto.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni