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Black Midi – Hellfire

2022 - Rough Trade
indie / prog-rock

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Tracklist

1. Hellfire
2. Sugar/Tzu
3. Eat Men Eat
4. Welcome to Hell
5. Still
6. The Race Is About to Begin
7. Dangerous Liaisons


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C’è qualcosa di straordinariamente rinfrescante nell’arte dei Black Midi. Non so quanto tempo era che non vedevamo da vicino l’opera di musicisti ventenni che raccontano storie immaginifiche sulla base di una musica “progressiva”. Erano gli anni ’70, quando band formate da giovanissimi proponevano temi e musiche paragonabili, scavalcando le classifiche.

Ora, i Black Midi non aspirano alle Top Ten consentite all’epoca a Yes, Genesis e King Crimson. Si accontenteranno della Top 40. Ma ugualmente, il fatto di esserci, di poter vivere di questo (presumiamo) e di avere un posto vicino al cuore della critica musicale, facendo quello che fanno, mi sembra già un traguardo di tutto rispetto, di questi tempi.

Abbiamo detto King Crimson e lo ripetiamo. D’altronde lo hanno detto pure loro, nelle “Cavalcovers”. Ma qui siamo ben oltre e, nel migliore spirito della musica veramente “progressiva”, ci buttiamo dentro anche un sacco di pop, jazz, hip-hop, funk, post e math, ecc…, per non parlare della passatissima e demodé scena di Canterbury. Che poi questo disco sia uscito a poche settimane dal grande ritorno dei Porcupine Tree, altra band che, volenti o nolenti, è nel loro DNA, è una bella coincidenza. Ma fin qui, non abbiamo detto nulla di nuovo per chi conosca già le precedenti prove dei Black Midi. Cosa c’è di nuovo in “Hellfire”? Di sicuro, una certa definitiva consapevolezza che, allora sì, si può osare e stare comunque sul mercato. Si può cazzeggiare impunemente e vendere ugualmente abbastanza dischi per essere invitati ai festival.

Ascoltate Welcome to Hell, forse il pezzo più immediatamente impressionante, accompagnato, come ci hanno abituati i nostri, da un bellissimo video di cartoon, con un immaginario che farebbe invidia alle novelle fantascientifiche dei Gong di David Allen (abbiamo detto Canterbury e lo ripetiamo). “Non credo nell’inferno” – dice il chitarrista, cantante e paroliere Geordie Greed – “Ma tutte quelle scemenze dei vecchi tempi sono una ficata per le canzoni, ho sempre amato i film o qualunque altra cosa rappresentasse l’inferno dantesco”. E questo immaginario scorre lungo un tappeto musicale costellato di stop and go, di adrenalina giovanile certo, ma che conduce ad esiti inattesi e sorprendenti ogni volta. Come la canzone in cui tutta questa tensione si scioglie successivamente: Still. Una roba vagamente country/folk, molto, ma molto, fruibile. Se non fosse che a 2:45, la musica crolla improvvisamente in una cacofonia un pò noisy, per poi ricomporsi subito in un arpeggio di chitarra e sussurri di voce e sintetizzatori. Di nuovo: sorprendente. Almeno di questi tempi, che negli anni ’70 questo tipo di “avanguardia” era sui piatti dei giradischi dei ventenni di mezzo mondo.

É un caos quello dei Black Midi. Ostico sicuramente, a primo ascolto. Un caos che affonda saldamente le radici in passati musicali gloriosi. Mentre indica anche vie nuove a questo post-punk che è sulla bocca di tutti e che nessuno sa cosa sia, da quarant’anni a questa parte. Una via che passa persino da quella voglia di spiazzare che aveva la migliore musica del classic rock “pre-punk”. E insomma: non si poteva creare sintesi migliore a  decenni di progresso musicale; e che a farlo siano dei ventenni è davvero una bella cosa.

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