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Kikagaku Moyo – Kumoyo Island

2022 - Guruguru Brain
psych rock / psych folk

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Tracklist

1. Monaka
2. Dancing Blue
3. Effe
4. Meu Mar
5. Cardboard Pile
6. Gomugomu
7. Daydream Soda
8. Field of Tiger Lilies
9. Yayoi, Iyayoi
10. Nap Song
11. Maison Silk Road


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Ebbene sì. Dopo dieci anni si sciolgono i Kikagaku Moyo, una delle più interessanti e rispettate realtà della scena psichedelica contemporanea. 

Leggenda narra che il nome del gruppo – traducibile in “motivi geometrici” – sia stato proposto dal batterista e membro fondatore Go Kurosawa a seguito di una lunga jam session notturna, durante la quale avrebbe immaginato forme di tutti i tipi a causa della stanchezza. Un aneddoto che dipinge molto bene lo spirito della band, nota per ipnotizzare il pubblico con lunghe e allucinate improvvisazioni dal vivo.

Kumoyo Island” è dunque il loro quinto e ultimo disco, anche se non suona assolutamente come tale. Nessuna ballata tristoide, nessun requiem, piuttosto posate fotografie di tutto ciò che i cinque capelloni hanno imparato a padroneggiare nell’ultima decade (il debutto omonimo risale infatti al 2013), sebbene divisi tra Tokyo, Amsterdam, India e Stati Uniti.

Gli ingredienti non sono cambiati: ritroviamo gli intensi giri di basso dal piglio funky di Kotsu Guy, una varietà inaudita di percussioni, cantati mezzi sussurati al limite dell’ASMR, il sempre affascinante sitar di Ryu Kurosawa (andato a scuola da Manilal Nag, vero e proprio guru dello strumento) e i chitarroni anni Settanta di Tomo Katsurada e Daoud Popal, strabordanti di effettazzi wah-wah e fuzz.

Tra rivisitazioni elettriche della musica folk tradizionale min’yō (l’opener Monaka), deliri garage rock mascherati da ninne-nanne (Yayoi Iyayoi), irresistibili jams dal piglio funky (Dancing Blue), pezzoni heavy alla Boredoms (Cardbord Pile) e omaggi al folklore brasiliano (Meu Mar, cover di Erasmos Carlos, leggenda del bossa nova), “Kumoyo Island” non sbaglia un colpo.

Un album che alcuni definirebbero un “apice”, altri un “sunto”, altri ancora una “morbida evoluzione”. Nel dubbio, noi ci limitiamo a definirlo “un gran disco” e a onorare i Kikagaku Moyo con il meritatissimo titolo di “cult band”. Perché questo sono stati per molti, degli artisti da seguire con spirito pressoché religioso, portatori di armonia e conforto.

In questo senso, voglio chiudere con un messaggio di speranza rivolto a tutti i loro “discepoli”: non abbattetevi, la legacy è assicurata dall’etichetta Guruguru Brain, che continuerà a sorprenderci con perle psichedeliche dall’oriente, dal krautrock dei conterranei Minami Deutsch al folk allucinato degli indonesiani Ramayana Soul. Sayōnara.

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