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Interviste

More than a promise: intervista ai Tutti I Colori Del Buio

Sergio Martino was their Elvis.

I Tutti i Colori del Buio, ormai, non esistono più. Si sciolsero prima del fatidico duemilaventi, dopo aver suonato assieme cinque anni. Torino è stata la loro città. Lo è ancora oggi che non sono più un gruppo attivo, ed è proprio grazie a questo senso di appartenenza, difficile da scrollarsi di dosso, che un’etichetta indipendente, la siculo-emiliana Fresh Outbreak Records, ha deciso di pubblicare, in formato tape, le preproduzioni di un disco postumo, i cui pezzi furono registrati in vista di un naturale prosieguo del gruppo, intitolato “The Last Session”.  Rispetto a “Initiation to Nothingness”, troviamo più mosh e più 1,2,3 e questo basterebbe per descrivere la manciata di brani che dà vita al disco.

Li abbiamo intervistati, quindi, in concomitanza dell’uscita della cassetta, le cui tracce sono comunque ascoltabili su diverse piattaforme da circa un anno e mezzo e che, ricalcando la verve dei lavori precedenti, ci parlano di corrosione, estremismi e occultismo. Ci rispondono assieme, con una sorpresa finale. No spoiler, quindi. Arrivate a leggere sino all’ultima risposta.

Boston Strangler o Slapshot?

A. In tutta sincerità son due band che non rientrano nei miei ascolti, meglio i Beatles per me.
D. Sinceramente conosco solo gli Slapshot di nome, non non li ho mai ascoltati.
S. Conosco pochissimo entrambe le band, quindi direi nessuna della due.
F. Scusami ma non so rispondere a questa domanda.

Da dove viene l’idea di pubblicare un disco postumo? In realtà dopo gli ultimi due anni molte bands hanno avuto problemi ( anche logistici ) per mantenersi attive e non è da escludere che sia un fenomeno che vada via via diffondendosi. Essendovi sciolti in epoca pre-Covid, da dove è scaturita quindi la scintilla?

Ci ha contattato Santo di Fresh Outbreak Records qualche mese fa, proponendoci di stampare le cassette del nostro ultimo EP (che non era mai uscito su un supporto fisico) e noi abbiamo accettato. In realtà più che un EP era la preproduzione di un disco che non abbiamo mai completato ed era sempre rimasto nel limbo, come spesso capita per molte bands che si sciolgono improvvisamente.

Come vi siete conosciuti? Cosa vi ha portato a suonare assieme? Tracciate una veloce linea cronologica della vostra carriera.

Eravamo amici già da diverso tempo, una sera d’estate del 2013 eravamo al nostro solito ristorante cinese, lamentandoci della scarsa offerta di cose da fare a Torino ad agosto, al che ci siamo guardati e abbiamo realizzato che eravamo un batterista, un bassista, un chitarrista e un potenziale cantante. Dopo cena siamo andati dritti in sala prove e da lì è cominciato tutto.
I quattro pezzi che avevamo registrato in saletta come demo sono poi stati stampati in 7” da Escape From Today ad inizio 2014, il resto è venuto da sé.
A conti fatti abbiamo suonato per poco più di 4 anni, ma sono stati belli intensi e densi di soddisfazioni: abbiamo suonato in tantissimi posti, in festival come NOFest, Solomacello e Venezia Hardcore e Rottura Del Silenzio. Abbiamo conosciuto tantissima gente in giro per l’Italia e l’Europa.

In quali bands suonate attualmente? Siete ancora in contatto tra di voi?

Dopo esserci sciolti, Dano ha continuato a suonare nei Last Minute To Jaffna e Grams, con cui già suonava, e da poco coi Magnitudo. Lavorando come fonico è sempre dentro la musica locale e non, insomma. Alessio e Simone suonano insieme nei Rope, band in cui suonava anche Francesco prima della partenza per l’Australia. Simone, infine, ha poi suonato anche con i Peste e Alessio è una delle due voci dei The Love Supreme, l’unica odierna all-star band italiana.

Come si vive questo difficile periodo nella scena torinese? Quali sono le principali realtà dedite all’organizzazione di eventi e concerti? Quali sono le principali influenze che possono rendere partecipi le
cosiddette “nuove leve”?

Purtroppo a Torino le cosiddette “nuove leve” faticano a nascere, le realtà che organizzano in città sono sempre le stesse anche se contrariamente a ogni aspettativa, questa primavera abbiamo visto un’incredibile partecipazione in termini di pubblico alle serate. Sul coinvolgimento di persone nuove abbiamo veramente poche idee, è sempre stato il Santo Graal dell’hardcore questo, e pochi l’hanno trovato.

Cosa pensate della cosiddetta “new wave” dell’hardcore americano, i cui principali rappresentanti sono gruppi come Turnstile, Mindforce e Knocked Loose? Lo chiedo perché i brani del disco ricalcanoabbastanza una vena new school riconducibile a ciò che si suona a Philadelphia, Baltimora, Wilkesbarre…

D: Sono anni che non ascolto hardcore “nuovo”, delle bands che hai citato conosco giusto i Turnstile; non posso dire di esserne fan (non saprei dirti un titolo di un loro disco o di un loro pezzo) ma quel poco che ho sentito non mi è dispiaciuto. Due bands di quel giro che ho visto dal vivo recentemente e mi sono piaciute sono Jesus Piece ed Escuela Grind.
F: Non ascolto hardcore da anni, l’unico gruppo che conosco ma soltanto di nome sono i Turnstile.
S. Ascolto pochissimo i gruppi hardcore moderni, fatico a trovare qualcosa che mi piaccia in quel genere al momento, sono più orientato su gruppi post punk e noise rock. Sicuramente nei brani dell’EP si sente un cambiamento della band nella scrittura dei pezzi rispetto al disco full length: era iniziata un’evoluzione che purtroppo non sapremo mai dove ci avrebbe portato.
A. Mi cogli impreparato, ho ascoltato un po’ i Turnstile però sono totalmente digiuno sugli altri, faccio un po’ fatica ad ascoltare l’hardcore moderno. Sono molto legato a cose decisamente vecchie e in questo momento sono orientato su altri ascolti che vanno in tantissime direzioni, ma non quella.

“Life means Surprise” è il brano che più mi ha colpito in “The last session”. È lungo, concentrato, forgiato, ma soprattutto, da dove arriva tutta questa speranza?

Nel testo c’è un invito al continuare a stupirsi al continuare a vivere, al guardare il mondo come si guarda da bambini, e al non restare fermi, schiacciati dalle cose. L’approccio positivo non può controllare i fattori esterni ma può darti i mezzi per affrontarli, gestirli e ridimensionarli. Le solite seghe mentali di chi sta invecchiando, insomma.

Quali sono le realtà e le bands in Italia con le quali avete interagito maggiormente durante la vostra attività?

Non avremmo combinato nulla senza la nostra famiglia allargata: persone come Federico dei Northwoods e Dieghino dei Cayman The Animal di Perugia, Fede e i Council Of Rats di Milano, gli Zeit e tutto il giro di Venezia HC (Confine, The Mild, Samal etc) , i Nomura di Bari, Nicola Manzan, i ragazzi di Solomacello, Manuel Shove. Un posto speciale lo daremo sempre a Claudia di Roma che se ne è andata troppo presto ma che ha lasciato un segno indelebile. Molte band non suonano più – noi in primis – ma l’amicizia, la stima e la gratitudine rimangono.

Obsessed o Spirit Caravan?
Forse Obsessed ma anche qui ci trovi un po’ impreparati…

A mio parere, nel panorama hardcore italiano, Torino ha fornito più spunti e materiale resistente, rispetto a Milano o Roma. È ancora la vostra città, sotto questo aspetto?

Torino è sempre stata strana, se vuoi decisamente più autoreferenziale, ma forse questo ha fatto sì che molte bands sviluppassero un loro suono e una loro personalità molto ben riconoscibili. Per ragioni anagrafiche ci siamo persi gli anni ’80 e buona parte dei ’90, ma ricordiamo negli anni a cavallo del millennio bands come Encore Fou, Lama Tematica e Fluxus. Oggi parlando di punk e di hardcore in senso stretto latitano i gruppi nuovi, lanciati da ragazzi sui 20-25 anni. Ritorniamo a parlare del Santo Graal di cui poco sopra.

Avete in mente di suonare dal vivo ancora una volta, in una reunion, i brani di “The last Session”?

Dopo il contatto con Santo è successo che Fra (che si è trasferito in Australia nel 2019 dopo aver registrato il disco dei Rope) è tornato quest’estate a Torino per un mese e mezzo e allora ci è venuta anche l’idea di un concerto. Sabato 23 luglio suoneremo un po’ di pezzi vecchi e i pezzi di “The Last Session” allo Ziggy Club a Torino insieme agli amici Khoy, con cui condividemmo il release party del disco anni fa. Il cerchio si chiude un po’ come si era aperto, anche se solo alla morte non c’è rimedio.

Terminate l’intervista dicendo ciò che volete!
Grazie Andrea, per il tempo e il supporto, grazie a chiunque abbia speso un po’ di tempo per noi e con noi negli anni passati. Suonare ancora una volta sarà bello, divertente, un po’ triste e molto confuso e rumoroso. Però siamo felici e fortunati di tutto quello che abbiamo avuto come band e come persone.

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