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“My Aim Is True”: 45 anni fa l’esordio di Elvis Costello

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Per il suo disco d’esordio Elvis Costello scrisse alcune delle canzoni più velenose nella storia di quel ’77 che aveva riscoperto il rock’n’roll nella sua variante più rabbiosa e contundente: sebbene “My Aim Is True” fosse stilisticamente distante dalla ricercata rudimentalità del punk, finì negli stessi scaffali per via dell’accumulo seriale di arringhe spietate, sarcasmo e disprezzo che ogni parola emanava. Sulla copertina dell’album, l’uomo più nevrastenico di Londra e dintorni sembrava il sosia definitivo di Buddy Holly:  in realtà, dietro l’aspetto rassicurante da nerd, c’era il più acuto e provocatorio tra i songwriter inglesi della sua generazione, un giocoliere sadico della parola scritta e cantata, un paroliere che si nutriva di brama di vendetta e sensi di colpa.

Per Costello il punk era miccia e pretesto: concepito tra litri di caffè e il primo dei Clash fisso sul giradischi, registrato in poche ore nelle pause dal lavoro di programmatore informatico e per questo segnato da un’eccitante aria da live in studio, “My Aim Is True” sfoggiava la frenesia di quei giorni di rivolte e una postura musicale che richiamava grandi e lontane altezze: la Tamla Motown e l’errebì, il rockabilly e il reggae (l’hit Watching the Detectives), il power-pop e il doo-wop.Il tutto incastrato in dodici canzoni e trentatre minuti coi quali Elvis Costello usciva dal pub, dichiarava guerra al mondo e crivellava di crudeltà i suoi personaggi, persino quando la dolcezza pareva aprirsi un varco: Alison era una delle più incantevoli ballate della new wave inglese, sembrava una leccornia ma era una torta di mele avvelenata.

A ventitre anni Elvis Costello già spiattellava una conoscenza enciclopedica del rock’n’roll: da ragazzino aveva passato parecchio tempo nel negozio di dischi d’importazione della madre (che aveva fra i suoi giovani clienti Mick Jagger e il fenomenale chitarrista Peter Green, uno che se non fosse stato per qualche acido di troppo avrebbe firmato gli autografi a Eric Clapton ), e canzoni come No Dancing, Mystery Dance, Blame It on Cain e Miracle Man incrociavano croccanti allusioni blues, soul e country. Prodotto da Nick Lowe, il principe del pub rock, e suonato dai Clover, una band californiana di stampo country-rock che Costello avrebbe presto sostituito con gli Attractions, ”My Aim Is True” era cinico e insolente, e Declan Patrick MacManus (all’anagrafe) si crogiolava nell’ambizione di essere il rocker più irritante del reame.

Il senso melodico di “My Aim Is True” diluiva appena le nevrosi di un giovanotto in piena tempesta emotiva, fra inganni e amarezza, frustrazione sessuale e tirate in odor di misoginia. Le bordate più fragorose erano per il leader dei fascisti inglesi Oswald Mosley, e stavano dentro il primo singolo, Less Than Zero, la canzone che ossessionò Bret Easton Ellis che poi ne prese in prestito il titolo per il suo primo romanzo. Il juke-box di “My Aim Is True” si apriva coi due minuti scarsi della vertiginosa Welcome to the Working Week, una parabola di allusioni, cinismo e giochi di parole: ”… ora che la tua foto è sul giornale , viene ritmicamente ammirata…”.

Chiaramente, con le sue clamorose metafore, Elvis Costello alzava sardonico la posta ed entrava da subito nel pantheon dei grandi scrittori rock: la new wave aveva trovato il suo Pete Townshend, il suo Ray Davies, il suo Randy Newman. “My Aim Is True” finì in tutte le liste dei più grandi album del ’77, a prescindere dai generi, anche perché la musica di quel Woody Allen con la Fender a tracolla e i risvolti ai jeans sfuggiva da ogni definizione sicura per autosospingersi oltre i margini delle inquadrature. In una recensione postuma su Pitchfork si prese un 9.8 e lo staff di Paste lo indicò come il miglior album new wave di tutti i tempi, un’esagerazione che il sottoscritto avrebbe eventualmente riservato a “This Year’s Model“, l’album successivo.

Ad ogni modo,  ”My Aim Is True” era classico e moderno insieme, e la rabbia non rovinava mai il divertimento.

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