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Interviste

Lavoro creativo sigillato: Intervista a Lo Straniero

Arrivati a “Falli a pezzi!” (qui la nostra recensione), terzo album uscito per La Tempesta, Lo Straniero è ormai una realtà del contesto alternativo italiano. Dopo il loro live “in casa” ai Giardini Botanici di Acqui Terme per l’anteprima di Indiependenza Festival, abbiamo incontrato Federica Addari e Giovanni Facelli per parlare di evoluzioni stilistiche, nuovi modi per fuggire e del rapporto della band con il pubblico.

Difficile non partire da qui, dato il momento storico: musicisti & pandemia. Anche durante il lockdown, Lo Straniero ha continuato a lavorare. A differenza di altri, però, avete deciso di aspettare ben due anni prima di pubblicare l’album. Quanto è importante attendere per trovare il “suono giusto”?

Giovanni Facelli: Secondo me un album deve uscire nel momento stesso in cui hai qualcosa da dire. Per essere pubblicato, il materiale deve essere valido, sia che tu faccia molta revisione di ciò che hai, sia che tu abbia una scrittura istintiva. Il nostro caso è totalmente al di fuori delle logiche di mercato. Abbiamo lavorato intensamente nelle zone rosse. Trovando alcuni escamotage – legali, comunque – abbiamo continuato a vederci, vivendo per giorni nella stessa casa. Nottate e interi weekend passati a produrre materiale per più di un album. La pubblicazione, poi, è avvenuta in modo naturale, anche se ci dicono che il mercato è totalmente saturo…e sappiamo di andare controcorrente, visto che abbiamo pubblicato un album il 1° di luglio! È già tardi per le logiche discografiche.

Rispetto a questo, un’eccezione era stato il singolo Milano-Sanremo, arrivato a fine 2021…

Giovanni: La pubblicazione di Milano-Sanremo è stato un caso. A dicembre dovevamo chiudere un tour con “Nuovo Imaie” per Musicultura, e abbiamo pubblicato un brano. Da un lato, ci sembrava giusto regalare qualcosa a chi ci segue da molto tempo e, dall’altro lato, era rappresentativo di quel momento storico. Il tema della fuga l’avevamo già affrontato con Sotto le palme di Algeri ma quella era una fuga onirica. Qui, invece, si tratta della fuga dalla porta di casa. Era lì il confine.

Federica Addari: Il protagonista di questo brano si immagina di ricominciare a viaggiare, come si faceva prima. È il ricordo di quello che facevamo prima e che ci ha tenuto vivi.

Rispetto al vostro ultimo album, mi sembra che si tratti di una sorta di punto di incontro tra il primo lavoro e Quartiere Italiano. Falli a pezzi è la sintesi di quelle due esperienze?

Federica: È una sorta di trilogia della fuga. La fuga è sempre stato un tema carissimo e questi anni in cui ci hanno costretto a stare immobili, un periodo che ci ha costretto a scappare in modo alternativo. Si trattava di immaginare qualcos’altro. Falli a pezzi è un punto di arrivo ma anche di partenza verso altri lidi.

Giovanni: Nei primi album la nostra fuga era, soprattutto, geografica: fuggivamo dai posti in cui ci trovavamo. Ora si ha a che fare con la materia. “Falli a pezzi!è un’esortazione ma è anche la constatazione di un fallimento che c’è stato. È anche un punto di ripartenza: ha un significato doppio il titolo dell’album.

Rispetto allo stile, è interessante notare come suoni quest’album. Sia nello stile del cantato, sia nella maggior concretezza dei testi, a tratti pare quasi hip-hop!

Federica: Più che nel rappato, direi che è un parlato più aggressivo, un “punchy” nello stile dei Clash, che abbiamo riascoltato tantissimo. Loro parlavano dritto in faccia. Era un’attitudine che, forse, era rimasta un po’ assopita in passato. Anche questo è legato al fatto di aver registrato in casa: ci ha permesso di liberarci e cercare qualcosa di nuovo, di sperimentare.

Giovanni: Joe Strummer è uscito spesso parlando tra noi. Io personalmente ho riascoltato molto “Combat Rock”, un disco “meno Clash” di altri, ma che ha pezzi meravigliosi come Ghetto Defendant, brani in cui Strummer marca la voce, “parla cantando”. Pur utilizzando la nostra formula, è venuto naturale ringhiare un po’ di più.

Il racconto della nascita dei vostri brani mi fa pensare a quanto “facciate gruppo”, come se foste un branco che si guarda le spalle a vicenda. E questa coralità si percepisce, a mio avviso, in questo Falli a pezzi, ancor di più che nel precedente Quartiere italiano. Quanto ha influito il lavoro “da carbonari del lockdown” cui accennavate prima?

Giovanni: Ci ha unito molto. È il primo disco che registriamo totalmente noi, non è stata registrata una nota fuori dalla nostra sala prove. Naturalmente Ale Bavo e Marcello Batelli ci hanno aiutato a distanza, mixando e producendo. Tutto, però, è accaduto fra quattro mura. Qualche addetto ai lavori l’ha chiamata la “Duma dello Straniero” ed effettivamente io e Federica, fin dall’inizio, abbiamo creduto in questo, componendo, scrivendo e pensando a cose che riguardano il gruppo.

Toffolo dice: “Quello che facciamo è segreto.” Poi viene il resto: le pubblicazioni, i concerti, il pubblico. Ma tutto quello che sta prima di questo lavoro è lavoro creativo sigillato. Però, effettivamente la questione del branco…Fede, tu quante volte l’hai usato questo termine?

Federica: Anche barricata! [nda. Ride] Ma non siamo solo chiusi, anzi: siamo molto ricettivi rispetto a ciò che accade all’esterno. Ma teniamo molto al concetto di gruppo, all’unione.

Ho la sensazione che siate ancora molto fedeli a una sorta di “attitudine estranea”. Mi sembra che evitiate di adattarvi al “suono pop” più in voga in questo momento. Vi lancio una provocazione: volete essere diversi o, più semplicemente, siete diversi dagli altri?

Giovanni: No, non vogliamo essere diversi dagli altri. È tutto estremamente spontaneo e naturale, ma pensiamo che l’arte vada controllata. Sappiamo quello che vogliamo: c’è una dose di istintività e una di revisione. Però, ad esempio, mi sento di dirti che non ci aspettavamo di trovarci in “Rock Italia”, una playlist editoriale di Spotify, con Artistico Serale che è sicuramente un brano “zuccherino” ma che ha tutte le caratteristiche di un brano de Lo Straniero. Comunque, per quanto possa valere e farci piacere questa cosa, non è sicuramente fra le nostre priorità.

Dai vostri live si nota un rapporto diverso con il pubblico. Quasi un rapporto di “confronto” con esso. Come vi influenza la risposta del pubblico nei live? Ha un impatto anche su quello che scrivete, a livello musicale?

Federica: All’inizio, spesso, ci veniva detto che eravamo un po’ algidi, un po’ freddi nei confronti del pubblico. Non ci siamo mai avvicinati tanto. Forse proprio perché “quello che facciamo è segreto”, ci teniamo a creare un’idea di “mistero” dietro all’artista. Però, noi facciamo canzoni anche canzoni che possono essere pop – Artistico serale, Falli a pezzi…

Giovanni: Poi, il pubblico de Lo Straniero è un pubblico eterogeneo. Ci sono gli alternativi, le famiglie, i bambini…poi c’è la vecchia guardia. Abbiamo fan perfino tra i metallari! Noi siamo orgogliosi del nostro pubblico. Non ci sono grosse logiche dietro ma, chiaramente, vogliamo farci ascoltare da più gente possibile.

Federica: …essere il più possibile accessibili…

Giovanni: Non ci precludiamo nulla ma lo facciamo con i nostri mezzi, senza calcoli dietro. Anzi, noi crediamo che la musica vada a cicli e ondate: ha poco senso seguire ogni cosa, perché si potrebbe rivelare effimera.

C’è un passaggio di Milano-Sanremo che rivela in modo collaterale la vostra origine “provinciale”. Mi riferisco a quando citate un piccolo paese in provincia di Genova, Masone. Che impatto ha su uno “Straniero” come voi un luogo d’origine tendenzialmente chiuso come la provincia?

Giovanni: Proprio discutendo con i Tre Allegri Ragazzi Morti, consideravamo quanto il nord-est e il nord-ovest, per quanto morfologicamente diversi, siano simili in tante dinamiche. Questa appartenenza dà e toglie molto ma soprattutto nel secondo caso dà lo slancio per andare altrove. Non tutti riescono a cogliere questa energia. Quando abbiamo iniziato insieme, questo ci ha dato una carica tremenda. Ti faccio un esempio. Noi ad Acqui Terme mancavamo da tre anni. Ma sai quanti live abbiamo fatto qui da quando esistiamo?Solo due. È un’energia propulsiva, che ti spinge ad andare altrove. Abbiamo un legame fortissimo. Milano-Sanremo condensa un amore viscerale per questi luoghi. Paolo Conte, che è il maestro letterario di questa terra, parlava di “immobile campagna”. In realtà, la campagna è tutt’altro che immobile: Paolo Conte si riferiva a qualcosa di più sottile. Con quella frase intendeva che qui puoi rimanere intrappolato nelle sabbie mobili…a meno che non trovi l’energia per fuggire!

Ultima domanda che prende spunto proprio da uno dei brani dell’album, Area di rigore: chi siete e cosa volete?

Giovanni: Alla prima ti rispondiamo dicendo che siamo un gruppo che ama quello che fa. Un gruppo che ama il viaggio creativo, ma anche quello concreto, e che ama l’incontro con il pubblico tramite la scrittura delle canzoni: è il nostro modo per metterci a nudo. Alla seconda domanda, invece, rispondiamo che vogliamo farci ascoltare da più persone possibili!Federica: Non c’è cosa migliore di potersi muovere attraverso la musica. E vorremmo farlo ancora il più a lungo possibile, continuando a sperimentare e divertendoci.

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