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“Wrong”: il segreto dei NoMeansNo è nel cuore

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Esiste un detto, al cuor non si comanda: lo trovo assolutamente in linea e centrato per iniziare a parlare di questo capolavoro della musica, troppo sottovalutato e dimenticato ancora oggi, ma soprattutto per scrivere ed omaggiare del giusto e meritato tributo una band che ha fatto la storia della musica underground mondiale.

I NoMeansNo di Victoria, British Columbia, Canada, da ormai sei anni purtroppo si sono sciolti ed è innegabile che il mondo della musica abbia perso una delle migliori realtà musicali di sempre, ma purtroppo tutte le storie, anche le più belle, prima o poi finiscono. Chi comunque come me ha avuto l’enorme fortuna di vederli suonare dal vivo credo che non possa essere rimasto indifferente di fronte alla miglior live band sulla faccia della terra. Sempre in tour, affezionati al nostro paese, li ho visti 5/6 volte almeno (non so quanti gruppi abbia visto così tanto, forse solo i Melvins si avvicinano) perché la band dei “vecchissimi” fratelli Rob al basso e voce e John Wright batteria e voce era come una droga, più li vedevi e più ne volevi ancora. L’effetto sul sottoscritto, ma in generale su chiunque li abbia visti, era una specie di estasi che produceva endorfine a manetta e quindi una gioia immensa che continuava anche il giorno dopo, come minimo seppur ovattato se non sordo, una sorta di antidepressivo naturale molto forte.

È davvero complicato spiegare bene cosa si provava a parole se non li si ha visti almeno una volta, ma era veramente un’esperienza appagante. L’amore per la musica trasudava e sudava letteralmente da ogni poro e traspariva in maniera fortissima, la notevole perizia tecnica (decisamente sopra le righe per un gruppo di estrazione hardcore), in particolare di una sezione ritmica che non ho problemi a definire una delle migliori e più affiatate della storia della musica, era evidente, senza nulla togliere ai due fantastici chitarristi che li hanno accompagnati nel corso di quei quasi quarant’anni di carriera, prima l’istrionico e talentuoso Andy Kerr, ancora presente su “Wrong“, e poi con l’affidabile e fidato amico Tom Holliston dal 1994 fino allo scioglimento della band nel 2016. Mi permetterei quasi di definirli, visto che sono pure connazionali, i Rush dell’hardcore.

L’attitudine DIY dei NoMeansNo ed il loro modo sempre affabile, modesto, semplice e cordiale di porsi nei confronti della “solita” gente che veniva a vederli era qualcosa di raro, meraviglioso, in una parola commovente. Si davano al 110%, senza risparmiarsi (nonostante fossero già vent’anni fa dei vecchietti) sia che fossero in uno squat malconcio e sgarruppato che in un grande club o festival organizzato. Per loro non faceva la minima differenza, ci mettevano il cuore, l’impegno e la dedizione erano sempre totali. L’istinto dopo un concerto era quello di abbracciarli forte, nonostante fossero conciati da buttar via, per esprimere gratitudine e riconoscenza.

Ho visto band di super giovani freschi freschi, poco più che ventenni, prendere dal  power trio di “nonnetti” canadesi palate di merda (ovviamente involontarie) in termini di energia, tiro e di impatto live, in ciò erano indiscutibilmente dei fuoriclasse, nonostante poi una strumentazione minimale, zero pedali od orpelli vari, quello che usciva dalle casse a gran volume era il loro suono senza trucchi ed inganni, vero e sincero.

Le lodi non finiscono qua: non si può infatti non menzionare la loro autoironia, o l’ironia in generale, spesso presente nei loro testi oppure lo spiccato humour nero, altro loro segno distintivo. Basterebbe leggere il testo di Dad da “Sex Mad“, altro disco consigliatissimo, un brano che parla di violenze familiari. Oppure ancora la copertina del loro best ofThe People’s Choice” – la cui tracklist era composta dai brani più amati scelti direttamente dai fans – in cui compare la scritta su un muro di un locale in cui era previsto un loro concerto “How fucken old are NoMeansNo? Give it up granddads”, e la riposta di John Wright non si fece attendere “That’s ‘great granddad’ to you, fucker!”. Mi sto dilungando troppo e chiedo scusa, ma questa lunga intro era più che doverosa, comunque entrando nel merito del disco in questione, “Wrong” è il loro quarto album in ordine di tempo uscito ancora per l’Alternative Tentacles di Jello Biafra, con il quale tra l’altro nel 1990 fecero uscire anche un altro disco consigliatissimo “The Sky is Falling and I Want My Mommy“.

Mi ricordo ancora come fosse ieri la prima volta che ascoltai le prime note del brano che apriva il disco, It’s Cathing Up, dal tiro incredibile con i suoi stop’n’go chirurgici e dove un groove funk si univa alla perfezione all’irruenza dell’hardcore, scena di loro appartenenza; fui veramente folgorato da tale energia. I NoMeansNo presero la lezione dei grandissimi Minutemen, ma anfetaminizzandola e rendendola propria, mischiando l’hardcore evoluto tendente quasi al noise dei Black Flag epoca “My War con intermezzi o fraseggi jazz – tanto che furono spesso definiti jazz-core, Tired of Waiting e Stocktaking sono due esempi in tal senso – con il funk sfrenato (Big Dick, Rags and Bones) e ancora con la new wave ed il post punk, il tutto unito con un sempre presente gran gusto per la melodia. Nonostante la non troppa accessibilità della loro musica, non stiamo parlando però di un disco avanguardistico, certo non di facile ascolto ma non impossibile o incomprensibile. In “Wrong” tutto ha il suo perché e funziona.

Non mancavano i pezzi più punk come The End of All Things, Two Lips, Two Lungs and One Tongue oppure l’antemica Oh No! Bruno!. Con l’hardcore destrutturato di Brainless Wonder furono addirittura dei precursori di sonorità e misero probabilmente anche le basi per quel tipo di suono che poi sarebbe nato pochi anni dopo grazie a band di fuori di testa come i Don Caballero, vale a dire il genere math con tutte le sue inflessioni e declinazioni nate poi. Chiudeva infine il disco il quasi mantra di All Lies, lungo e più disteso rispetto agli altri brani.

Il suono del basso in primissimo piano nel loro sound era caratteristico, molto medioso, muscolare ed aggressivo come pochi altri, ripreso poi negli anni ’90 da altre band quali gli Unsane. Le linee di basso poi erano di una durezza simile nell’intenzione per certi versi solo a quelle dell’immenso Charles Mingus. Il modo di suonare di Rob Wright probabilmente influenzò i Primus, quanto meno l’approccio di Les Claypool alle quattro corde per quanto riguarda l’apertura al crossover ed in particolare l’accostamento a sonorità funk, anche se percorrendo strade differenti. Non si possono poi sprecare due parole per la batteria di John Wright, super ritmata, fantasiosa e di impostazione jazz, ma non dal tocco delicato, tutt’altro, le sue erano vere e grosse pacche. Oltre a ciò era impressionante la precisione dal vivo, nonostante non tenesse quasi mai tempi lineari. Infine, ma non per ultimo una vena creativa ed originalità non comune; uno dei batteristi più sottovalutati della storia della musica.

Riascoltando oggi “Wrong” dei NoMeansNo non si può non notare l’influenza che ebbe su certa musica degli anni 90 e soprattutto è ancora impressionante a distanza di più di trent’anni la freschezza di questo lavoro.

Qualcuno scrisse da qualche parte, e sono d’accordo, che i NoMeansNo rimangono ancora oggi un segreto troppo a lungo custodito e, aggiungo io, continuerà ad essere così. Seppur mi sembri davvero ingiusto nei loro confronti, che avrebbero meritato ben più fortuna e fama in un mondo diverso, ideale e fantastico, da un certo punto di vista ciò lo rende anche un po’ un mio segreto stupendo che custodirò sempre gelosamente nel mio cuore. Non smetterò mai di amare ma soprattutto di essere grato ai NoMeansNo, lo dice il ragazzino poco più che ventenne stordito, quasi sordo ed addirittura dolorante alle orecchie dopo i volumi assassini che hanno tenuto quella sera al Leonkavallo nel 2004 con gli Zu che aprivano la serata, ma pienamente soddisfatto, felice e totalmente appagato dopo averli visti la prima volta. Non dimenticherò MAI quella sera, così come tutte le altre che mi e ci hanno regalato.

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