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Wu-Lu – Loggerhead

2022 - Warp
alternative hip hop / post punk / prog rock

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Tracklist

1. Take Stage
2. Night Pill (feat. Asha)
3. Facts (feat. AmoN)
4. Scrambled Tricks
5. South (feat. Lex Amor)
6. Calo Paste (feat. Léa Sen)
7. Slightly
8. Blame
9.Ten
10. Road Trip
11.Times
12. Broken Homes


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Se prendiamo in esame solo quanto uscito quest’anno Oltreoceano, il materiale uber-hip hop, ossia quello che pur nascendo, crescendo e maturando in quell’ambiente pur distruggendone le barriere e spingendosi sempre più in là, ne abbiamo – forse non tanto in quantità quanto in qualità – e se state pensando a Dälek, Denzel Curry e Ho99o9 avete fatto centro e siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Tutt’altra cosa è il Vecchio Continente, ché bisogna attraversare la Manica per giungere a qualcosa che salti la staccionata dello stantio e del ritrito tuffandosi nelle acque scure forse non dell’ignoto, ma di certo del sorprendente.

Dobbiamo volgere lo sguardo su South London per incontrare quello di Wu-Lu, al secolo Miles Romans Hopcraft, e immergerci a fondo in quel mare mosso e altro, così diverso dallo stagnante acquitrino dell’ovvio. Due anni di assenza di dischi da parte di personaggi del calibro di Flowdan (ma lui lo trovate in compagnia di The Bug e Simm nei rispettivi lavori targati 2021) e Ghostpoet non fanno ben sperare, e l’attesa si fa delirio, ma è proprio questo ragazzo a farci tirare un sospiro di sollievo, giusto il tempo di farcelo mozzare con i numeri che ha da esporre e sbatterci in faccia, che sono tanti e tutti parecchio alti.

Insomma, pronte le bombole per la suddetta immersione. Anzitutto, e va detto, mamma Warp ne sa sempre una più del diavolo, e lo dimostra il suo palmares in cui al posto dei trofei trovano posto mostri sacri della musica quantistica del futuro, ma anche nuove leve di tutto rispetto (leggere alla voce Squid), soprattutto quando si parla di materia rappistica, basti pensare a quel folle di Yves Tumor e, andando un poco più indietro, a Danny Brown. Ma ora tocca a Wu-Lu prendersi la scena, non quella che prevede riflettori tanto sfavillanti quanto farlocchi, bensì l’oscurità di un mondo che divora tutto e tutti ma che necessita di parole che ne narrino e ratifichino la caduta ma non senza lottare per evitarne il crollo finale se non per poi ricostruire il tutto da capo, parole come “This country’s a mess / Showing no progress / We’ll build this fire from the troops and the lies”, parole che fanno male perché vere mentre descrivono la decadenza di un Impero e di conseguenza di tutto ciò che sta attorno.

Ci sono parti, in questo debutto, che riportano alla mente il mondo che Guru costruì nei suoi “Jazzmatazz”, ma senza prendere troppo da numi tutelari enormi, la produzione è plumbea e gronda blu notte da ogni interstizio, jazz nocturne che si ritrova perso nei filamenti di una linea temporale che si sfilaccia, perché c’è tanto futuro da queste parti. Gli universi paralleli si scontrano ed è un sentimento post-punk imperante e imperioso quello che si fa strada lungo tutto l’album, anche quando musicalmente non se ne trova traccia, quando le idee dubstep scoppiano come stelle distanti. Urbano di quell’urbana sintesi di guerriglia che diventa necessità, urgenza, bassi spaventosi che corrono sotto linee sintetiche e stralci di chitarre demolite mentre la voce di Hopcraft a tratti si lascia andare a grida dilanianti e altrove sono bassi tremolii nella calura dell’incendio di una società che sta per finire in cenere.

Se poi contiamo le tante progressioni ritmiche, che se volessimo potremmo definire smaccatamente blackmidiane (Morgan Simpson è della partita, in effetti) e in alcune soluzione figlie dei Radiohead, ci troviamo dinnanzi ad un quadro così sfaccettato che non basterebbe una sola parete per contenerlo.

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