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Dub War – Westgate Under Fire

2022 - Earache
crossover

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Tracklist

1. Blackkk Man
2. War Inna Babylon
3. Vibes In The Place
4. Art Of War
5. Reveal It
6. Mary Shelley
7. Bite Back
8. Coffin Lid
9. Crying Clowns
10. Get Back Up
11. Fun Done
12. Stay Together
13. Celtic Cross


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Certo, quello dei Dub War non poteva certo essere un ritorno in pompa magna, ché gli inglesi non hanno mai goduto della fama da grande pubblico che invece si sarebbero ampiamente meritati, molto più degli Skindred che Benji Webbe e soci hanno fondato dopo lo scioglimento della band madre, eppure le cose vanno così, da queste parti.

Non so cosa ci si potesse aspettare dopo 26 anni, tanti sono gli anni che dividono “Westgate Under Fire” dallo strepitoso “Wrong Side Of Beautiful” con il quale la Guerra del Dub abbandonava le scene, di sicuro molta, molta curiosità. Devo fare una piccola confessione da fan (perché questo sono): ascoltando il singolo Get Back Up, con Mike Bordin a prendersi cura di fare a pezzi la batteria, ho sentito una vibrazione profonda attraversarmi il corpo. Ben presto mi sono reso conto che era semplicemente nostalgia di qualcosa che non c’è più.

Non fraintendetemi, questi di classe ne hanno ancora da vendere, soprattutto Webbe con la sua voce che tutto può spazzare via, ma a mancare è la scintilla. Dici poco, perché quando per le mani hai il crossover nella sua forma più pura quello che ti aspetti è una spianata incrollabile di potenza da mettere il casco durante l’ascolto, ma direi proprio che per ascoltare “Westgate Under Fire” non ce n’è affatto bisogno. Più il disco va avanti, meno la fiamma si palesa, nemmeno grazie alla presenza di signori delle pelli come il succitato membro dei Faith No More o Roy Mayorga (Nausea, Ministry) e i due Snot Jamie Miller e Mikey Doling. La macchina che osserviamo è tirata a lucido, ma il motore non dà segni di vita. Forse manca proprio, un cofano tristemente lasciato vuoto.

Ci sono le solite arrembanti lamate dub intinte in riff di chitarra pachidermici, melodie che si alzano a campanile trainate da una voce ancora giovane a dispetto dell’età anagrafica, assalti groove all’arma bianca e tribalmente urbani, volontà di riot e sincere invettive sociali (oggi più necessarie che mai, dato che il mondo ha dimostrato di non voler cambiare se non in peggio) che però non riescono ad appiccare quel fuoco della rivolta, come accadde negli anni ’90 quando tante band decisero di farsi alchimiste del malessere creando qualcos’altro cui aggrapparsi. Pezzi feroci come Coffin Lid dovrebbero farti venire voglia di sbattere per terra tutto ciò che hai dinnanzi gli occhi, fracassando il mobilio mentre il risultato è giusto un movimento ondulatorio minimo della testa e un sorriso per il growl monstre che esce dalle casse. Sorvolerei sulla triste cover di Stay Together, la cui sola presenza mi butta giù più quanto sarebbe auspicabila.

Pare scontato da dire, ma l’età pesa sul groppone di tutti, anche di chi ha ancora qualche asso nella manica pronto da essere giocato. Speriamo che presto lo calino, perché questa volta è rimasto ben nascosto. La nostalgia come combustibile non è affatto sufficiente.

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