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Interviste

Un’eccellenza musicale, tra l’Italia e l’America: intervista a Laura Loriga

Uscito negli scorsi mesi su ears&eyes Records, “Vever” è il nuovo album di Laura Loriga (qui la nostra recensione). La cantautrice bolognese, ex Mimes Of Wine, che negli ultimi anni si è divisa tra gli Stati Uniti e l’Italia è tornata in scena a ben 6 anni di distanza dall’ultimo album “La Maison Verte“. “Vever” è un album elegante e dai toni notturni, vicino alle coordinate sonore dell’avant-folk, ma che lascia e si lascia contaminare dalle sonorità più differenti, dalla psichedelia alla new-wave, passando per l’indie rock e l’elettronica. Laura Loriga è un’eccellenza musicale che abbiamo avuto il piacere di incontrare.

“Vever” è il disco che volevi, che avevi in mente fin dall’inizio, o il percorso creativo ti ha poi portato verso altre direzioni?

Posso dire che “Vever” è il disco che volevo. Con i suoi limiti e le difficoltà che ho incontrato nel completarlo, soprattutto durante la pandemia. E lo è diventato grazie a chi ha lavorato con me, sia tutti i musicisti che chi ha lavorato con me in studio, in particolare Misja Van Den Burg e Steve Silverstein. Ho provato a metterci dentro tutto quello che volevo dire, tutto quello che volevo provare a fare, nel modo più sincero possibile, e in questo senso è cresciuto giorno per giorno, ma la direzione è stata abbastanza chiara dall’inizio.

Percepisco nel disco delle atmosfere molto notturne: cosa ti ha ispirato nella genesi del tuo ultimo lavoro?

Credo che i suoni degli organi abbiano una loro caratteristica notturna, che porta anche la voce e gli altri strumenti a comportarsi in un modo particolare. Ho provato a lavorare sulla pasta dei colori, semplificando il resto, cercando di lasciare spazi vuoti, sospensioni. Ciò che mi ha ispirato, e mi ispira tuttora, sono stati senza dubbio alcuni tra i musicisti che ho sentito suonare a New York negli anni passati qui. Vederli viaggiare lontano, sicuri di sé, sereni, con spirito, serio o faceto anche, e coraggio, mi ha dato una libertà e una consapevolezza che prima non conoscevo.

Tante collaborazioni all’interno dell’album: come sono nate? Ce n’è una a cui sei più legata?

Tutte le collaborazioni sono nate con musicisti che conoscevo o avevo sentito suonare. Alcuni, la maggior parte, sono oggi ottimi amici e persone care. I loro contributi sono così diversi tra di loro e così complementari, che è difficile menzionarne uno in particolare. Quello che posso dire è che ognuno ha portato la sua voce cosi com’è, con il proprio carattere, le proprie luci ed ombre. E’ quello che speravo, ed è un regalo del quale sono profondamente grata ad ognuno di loro.

Spesso i musicisti dicono di avere una fase di repulsione ogni volta terminato un nuovo album. Succede anche a te? Per “Vever” è successo?

Dipende dall’album, lo ammetto. In questo caso non è ancora successo.

Sai di essere un’eccellenza musicale italiana? E se non lo sai, cosa si prova a scoprire di esserlo?

Questa non me l’aspettavo. È un complimento serio e ti ringrazio davvero, anche se credo di avere ancora tanta strada da fare. Posso dire che mi sento più vicina ora a quello che speravo di costruire, e spero di riuscire a continuare a crescere, cambiare, migliorare.

Sono rimasto colpito dalla grafica di copertina. Ti va di parlarmene? Cosa si cela dietro le luci di quell’abitazione?

La copertina è un bellissimo acquerello dipinto da un mio caro amico, Ripley Whiteside, che rappresenta una casa di Nashville durante una notte della prima parte della pandemia. E’ parte di una serie di lavori che si chiama “Everybody’s home”. Me ne sono innamorata appena l’ho visto. I colori e le linee mi ricordavano molto quello che mi immaginavo durante la scrittura dell’album, un qualcosa di coerente ma allo stesso tempo astratto, lontano, ma vicino, scuro ma familiare. È un’ immagine che porta calore, e quando mi sono trovata a lavorare sui mix dall’Italia ho pensato che una casa era il simbolo giusto per un lavoro che speravo unisse tanti elementi diversi, e luoghi diversi. Forse dietro le luci si cela una cosa diversa per ognuno di noi.

Ti seguo ormai da molti anni e trovo il tuo percorso musicale fin qui davvero interessante. Sai già quali saranno i tuoi prossimi passi? Io personalmente ne sono molto curioso.

Grazie! Al momento sono in partenza per portare Vever in North Carolina per qualche giorno, e per del tempo ancora mi vorrei dedicare soprattutto ai concerti. Allo stesso tempo, ho iniziato un lavoro nuovo, un insieme di brani di musica per danza, che però sono ancora canzoni. Vediamo dove porteranno, è bello lavorare con una forma diversa.

C’è qualche uscita musicale in particolare che ti ha colpito negli ultimi tempi?

L’artista che mi ha più colpito negli ultimi anni sicuramente è Circuit des Yeux, in particolare con l’album “Reaching for Indigo”. Mi sono trovata ultimamente ad ascoltare cose non molto recenti ma splendide e diverse, come John Hassell, Norma Tanega, Yma Sumac. Dal vivo, i concerti che mi hanno affascinato di più ultimamente sono stati quello di Charles Hayward e di Simon Finn.

Come ultima domanda, lasciamo il microfono aperto: puoi lasciare, se ti va, un messaggio ai nostri lettori?
Continuiamo a cercare.

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