Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

The Dream Syndicate – Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions

2022 - Fire Records
alt-rock / post-punk

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Where I'll Stand
2. Damian
3. Beyond Control
4. The Chronicles Of You
5. Hard To Say Goodbye
6. Every Time You Come Around
7. Trying To Get Over
8. Lesson Number One
9. My Lazy Mind
10. Straight Lines


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Se dovessi scegliere un’unica parola per descrivere i The Dream Syndicate sarebbe coerenza. La nuova fase dei Syndicate è un ritorno alle origini, alla struttura e impostazione “classica” di album, a cui si aggiungono nuovi nuovi passaggi strumentali e tasselli sonori. Il risultato? Un disco dal notevole livello qualitativo, nonostatante qualche sbavatura e qualche traccia eccessivamente lunga. “Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions”, opera quarta post-reunion per la band di Steve Wynn, è un album solido, compatto e senza fronzoli, che dimostra come i Dream Syndicate siano uno di quei rari casi di di ritorno non nostalgico. La band di Wynn, infatti calvalca nuovamente i palchi con una qualità pari a quella originale e una vitalità creativa anche superiore.

“Ultraviolet battle hymns and true confessions” è tangibile dimostrazione del nuovo corso del Sindacato del sogno. Il disco è tutto giocato sull’alternanza tra brani energici dall’incedere a tratti epico e brani intimisti e minimali. Ritorna il rock tagliente e magmatico delle chitarre, che tagliano spietatamente gli spazi delle canzoni, e tornano le percussioni martellanti. La voce di Wynn a tratti roca e dolente, a tratti sicura e definita, è decisamente più sognante e passionale, rispetto al passato. Le dieci ballate sono confezionate come discorsi a sé stessi, interrogativi nel linguaggio sconosciuto della vita di tutti i giorni.

In apertura troviamo il nevrotico cinguettio elettrico di Where I’ll Stand, temperato dal contrappunto di basso e chitarre. Un synth in loop lascia posto ad una tastiera impazzita, che sfuma negli accordi inaciditi di chitarra: distorsioni e atmosfere lisergiche.  Segue il brano Damian col il suo spirito anni ’80 e la notturna Beyond Control, traccia più riuscita del disco. Palesi le influenze soft rock e pop sofisticato, ballata introspettiva, quasi spettrale, in cui giochi sonori risultano ipnotici e stranianti: basso marcato e mai invadente, chitarra liquida e batteria tribale.

Torna lo spirito di Lou Reed nel brano The Chronicles Of You, dove atmosfere desertiche fanno da sfondo all’assolo di chitarra. Segue la quasi totalmente acustica Hard To Say Goodbye, i cui passaggi orchestrali ricordano molto le sonorità dei Pink Floyd di “The Dark Side Of The Moon” e “Wish You Were Here”. In Every Time You Come Around tornano protagoniste le chitarre stratificate, perfetta sintesi tra rock ‘n’ roll, folk e psichedelia. Trying To Get Over, invece, si discosta dall’andamento generale dell’album, ma senza stonaer. Le corde si intracciano in un assolo agghiacciante, rievocando alla memoria i jangle pop degli esordi. Tra le tracce meno riuscite, Lesson Number, i cui versi risultano eccessivamente pedanti. Pur avendo completamente abbandonato gli inserti di sax del disco precedente, in My Lazy Mind se ne avverte appena la presenza. 

Il disco si chiude con tastiere anni ’70, un accenno di chitarra ruggente e un organo Hammond. Straight Lines è un ritorno alle origini che sembra chiudere il cerchio in una sorta di psichedelia punkizzata.

Un disco certamente solido, ma che sembra sfaldarsi in continuazione tra malinconie di ruggine e torpore ipnotico di ricordi irrisolti, “Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions” racchiude le confessioni a cuore aperto di una band che ha attraversato le ere, che continua ad ascoltare e ad ascoltarsi. Una band che ha l’indubbio pregio di mettersi in viaggio lungo strade inesplorate, modificando il proprio dna e imponendosi nel marasma musicale a colpi di chitarre, loop, sax e inni da battaglia ultravioletti.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni