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Tutti abbiamo un sacco di cose da dire sui Verdena

Foto: Paolo de Francesco

Niente
Conta
In fondo

Come tutte le grandi band, i Verdena sono soggetti ad una forte polarizzazione tra fan e detrattori, dunque tra chi li considera dei geni inestimabili e chi degli stronzi qualsiasi, chi li vede come la più grande rock band italiana in circolazione oggi (ma anche ieri) e chi come una stupida erbaccia da estirpare. Ho letto più volte in giro che i Verdena hanno causato danni incalcolabili alla scena indipendente italiana, credo per via del numero spropositato di loro emuli che negli anni si sono succeduti collezionando più figuracce che altro. Io onestamente non riesco ad immaginare una stupidaggine più grande di questa, perché non è certo colpa di chi viene copiato se chi copia è un inetto, e mi sembra anche superfluo spiegarlo. C’è infine l’eterna lotta tra chi vede nei loro testi una irraggiungibile epica visionaria e chi invece solo una sequela di supercazzole degna di un “generatore automatico di testi dei” che trovate proprio qui (ed è effettivamente molto divertente).

Insomma, sui Verdena tutti hanno un sacco di cose da dire e il più delle volte sono opinioni insignificanti, ma il punto non è questo. L’attenzione per la band bergamasca è sempre totale e in un’epoca in cui l’hype per il rock, e per il rock italiano in particolare, è ai minimi storici, questo rappresenta un unicum difficilmente negabile. I Verdena stessi sono un unicum, perché nel rock alternativo nessuno sa catalizzare gli sguardi di pubblico e critica come loro, sa generare attenzioni spasmodiche, soddisfarle o disattenderle senza intaccare minimamente la propria credibilità. Parlo per esperienza personale e non per sentito dire: il doppio “Endkadenz”, che se si esclude la trascurabile colonna sonora dell’altrettanto trascurabile “America Latina” è l’ultima testimonianza sonora dei tre bergamaschi, mi ha deluso così tanto – forse è un problema mio, ma so che non sono solo – da farmi dire che a nuove cose dei Verdena non avrei più dedicato nemmeno un minuto di esistenza, e invece eccomi qua ad aspettare con delle sincere aspettative (non altissime, ad onor del vero) il nuovo album “Volevo Magia” con immutata passione. E cos’è questo se non l’amore?

E come tutte le storie d’amore che si rispettino ci sono i momenti di stasi, quelli di noia, quelli in cui ci si ignora pacificamente e quelli dove poi il fuoco si riaccende inaspettato e non si riesce a stare separati per più di qualche ora al giorno. Quando succede, di solito, ascolto tutti gli album dei Verdena in sequenza, anche più di una volta, e faccio quel giochino stupido (che qui su ImpattoSonoro giustamente non facciamo mai) di ordinarli dal migliore al peggiore o viceversa e che ora, vista l’eccezionalità del caso, riporterò brevemente. 

1. Il suicido dei samurai
2. Requiem
3. Solo un grande sasso
4. Verdena
5. Wow
6. Endkadenz

Fatto. Questa cosa mi è successa giusto in questi giorni, discretamente fomentato, e mentre riascoltavo, riflettendo se davvero era il caso di mettere “Requiem” o “Solo un grande sasso” al secondo posto – dipende essenzialmente dai periodi – mi sono venute in mente un po’ di cose. 

La prima è che trovo pazzesco e incredibile il fatto che chiunque abbia seguito i Verdena negli anni abbia almeno un aneddoto da raccontare – provateci – circa un loro concerto dove qualcosa è andato più o meno tragicamente a scatafascio: un impianto saltato, una batteria completamente ribaltata in un impeto di rabbia, qualche piatto rotto e “ok, andiamo avanti senza, che sarà mai”, un litigio tra fratelli e via dicendo. Episodi più o meno rilevanti, che in molti casi però avrebbero contribuito a rovinare la reputazione e la vita di più di qualche band, e che paradossalmente invece quella dei Verdena l’hanno perfino rafforzata ed elevata quasi a mitologia della musica alternativa italiana. Insomma, ci si ricorda tutti con sorrisini e pacchette complici di quando Luca ha sbagliato quel pezzo o quell’altro, o di quando Alberto si è incazzato e ha smesso di suonare e viceversa, o di quando Roberta…no Roberta non ne ha mai combinate è vero, ma poi escono le date del tour e in qualche giorno vanno quasi tutte sold out. Sarà perché i Verdena dal vivo sono sempre una furia difficilmente eguagliabile qui nei dintorni, e che questi episodi di contorno (perché di questo parliamo) non hanno mai rovinato assolutamente nulla, anzi li hanno resi più umani, più vicini, più sinceri, persino più fragili.

Poi però questa fragilità, ed è la seconda cosa di cui vorrei parlare, si scontra magnificamente con la potenza che deflagra da ogni loro disco e da ogni loro parola cantata o urlata, perfino da quelle che non vogliono dire nulla di nulla, e che sono per altro la maggioranza, per buona pace di chi cerca interpretazioni alte. Certo, i Verdena hanno avuto alle spalle fin da subito un arsenale da guerra su cui in pochi possono mettere le mani, la Universal, ma se la sfida era saperlo usare con la giusta dose di coerenza e irresponsabilità, con quel mix di coscienza e follia che solo i grandi si possono permettere, beh l’hanno stravinta sempre, regalandoci e regalandosi, al di là delle opinioni personali su questo o quel disco, una carriera di fatto in crescendo, senza farsi inghiottire da vortici di noia e anzi rifuggendo sempre l’affetto con una fragorosa dose di indifferenza nei confronti del pubblico.

Perché i Verdena poi sono quelli sfuggenti, inguaribili cazzoni che sembrano ascoltare la stessa roba da decenni, che nelle interviste, le poche che concedono, non danno mai una minima soddisfazione, guardano per terra e ti danno l’idea che tutto quello che non sia suonare, perfino avere qualcuno che ti ascolta, sia una gigantesca scocciatura, una colossale perdita di tempo. Non credo sia una strategia, per farci cosa poi?, credo fermamente che i Verdena siano tra i pochissimi a non simulare, ad essere veramente alieni rispetto ai meccanismi di uno showbiz con cui, seppure nella misura non certo asfissiante del rock alternativo italiano, hanno convissuto da quando avevano più o meno 16 anni ma non ci si sono mai abituati. Per capirci, senza che vi costringiate ad andare a scavare nel passato, qualche giorno fa è uscita su Rolling Stone un’intervista esclusiva per presentare il nuovo album “Volevo Magia” ed è sostanzialmente inutile, un’enorme, lunghissimo “ma cosa stiamo facendo? quando finisce questo supplizio?”. La sensazione, ogni volta che ho letto o ascoltato un’intervista ai tre bergamaschi, è sempre la stessa ed è duplice: da un lato c’è il sospetto che considerino l’interlocutore un autentico imbecille assolutamente non in grado di capire nulla di quello che fanno e dicono – e in certi casi è così, vedi sopra; dall’altro, invece, l’esatto contrario: mi piace pensare che Alberto, Luca e Roberta cerchino solo qualcuno con cui parlare di musica, faccia a faccia, cuore a cuore, senza tutti i filtri che regolano inevitabilmente la procedura noiosa della promozione artistica. 

In casi come questi si direbbe che la verità sta nel mezzo, ma in fondo che ci importa sapere se sono degli strafottenti pieni di sé, dei timidi e sinceri appassionati del magnifico mestiere del musicista o dei quarantenni che non hanno la minima voglia di crescere che si imbarazzano a parlare in pubblico? Quello che conta è sapere che dai Verdena, cascasse il mondo, possiamo sempre sempre aspettarci scintille. E da chi altri sennò?

P.s.: sì, ok certo, poi ne riparliamo il 23 settembre

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