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The Mars Volta – The Mars Volta

2022 - Clouds Hill
progressive pop

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Tracklist

1. Blacklight Shine
2. Graveyard Love
3. Shore Story
4. Blank Condolences
5. Vigil
6. Qué Dios Te Maldiga Mí Corazón
7. Cerulea
8. Flash Burns From Flashbacks
9. Palm Full Of Crux
10. No Case Gain
11. Tourmaline
12. Equus 3
13. Collapsible Shoulders
14. The Requisition


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Dimenticatevi dei Mars Volta. O meglio, dimenticatevi di quel che i Mars Volta sono stati dal 2003 al 2012, perché “The Mars Volta” si muove tra le rovine di una struttura crollata dieci anni fa con l’uscita di “Noctourniquet”.

A Omar Rodriguez-Lopez e Cedric Bixler-Zavala piace giocare sul filo del rasoio, riportando alla luce progetti che sembravano ormai morti e sepolti, quasi fosse una scommessa. Lo hanno fatto con gli At The Drive-In di “In*Ter A*Li*A”, rischiando grosso se non grossissimo, perché l’ultimo album di quel progetto era l’immortale “Relationship Of Command” e non c’è null’altro da aggiungere. In quel caso i Nostri hanno puntato su un cavallo vincente, pur scontentando parecchi (che si sarebbero lamentati in ogni caso). Con i Mars Volta il discorso è parecchio diverso poiché tutta la discografia del combo mutante è stata oggetto di discussioni e si è dimostrata altalenante, soprattutto verso la fine della propria esistenza. Non si può dire che il loro lascito di dieci anni fa fosse il loro capolavoro assoluto, per quanto possa piacere (e a che scrive piace non poco).

Sarà pleonastico dirlo ma bissare la strapotenza sprigionata da “De-Loused In The Comatorium” o la totale follia e pesantezza progressiva di “The Bedlam In Goliath” sarebbe stato/si è rivelato impossibile due lustri fa, figurarsi ora. Il cambiamento è cosa ovvia, soprattutto per un artista che si rispetti. Tutto dipende, però, da come si cambia e che direzione si intraprende cambiando. Ascoltando Blacklight Shine e Graveyard Love non vi nascondo che la delusione è stata parecchia e a dir poco cocente facendomi dire ad alta voce che sarebbe stato meglio non riaprire quella porta. Non solo i due singoli non somigliano in alcun modo ai Mars Volta che ricordavo e che hanno messo radici nel mio cuore, paiono proprio scritti e concepiti per un progetto che potrebbe tranquillamente portare un altro nome. Questo finché non ho ascoltato l’album nei suo insieme arrivando ad una consapevolezza altra.

Il timore più grande è che gli apripista fossero in qualche modo slegati da tutto il resto, una maschera dietro cui celare altre intenzioni (un tempo si sarebbero urlato al “venduti!”, mentre oggi non ha più alcun senso farlo). Invece la trasformazione viene a compimento assoluto di brano in brano. Il passaggio all’universo “pop” è lento e sfiancante, come una muta di pelle che costa fatica e dolore, sia per chi la fa che per chi vi assiste ma che infine dà i suoi frutti. Si è irrorati da una luce differente, anche per immedesimarsi nei testi di Cedric non è più necessaria una Stele di Rosetta apposita, pur restando in parte velati. Tutto arriva subito e niente giunge immediatamente. Le progressioni di chitarra non sono affatto scomparse, hanno cambiato funzione e in funzione della stessa hanno assunto un diverso ruolo, quello di ponti verso un arcobaleno melodico non meno scintillante. Dove prima si veniva risucchiati nel vortice dal furore prog ora si è ammaliati da ritornelli a presa rapida, strutturati e cesellati con fare certosino, circondati da ritmi latini spezzati in più parti e ricomposti usando come collante una patina elettronica morbida e sinuosa.

Si insinua nelle parti un fantasma jazz che lascia intontiti che in fretta lascia spazio a frustate indie tirate con forza (forse memori di quanto prodotto a nome Antemasque, per chi se li fosse scordati) e che abbattono chiunque tenti la stessa strada in questo o quell’altro contesto. Dalle pareti colano delizie acustiche strazianti, equazioni anomale nella loro essenzialità lineare e fanno male a un livello che prende le distanze dal resto del proprio corpus progressivo, che si mostra ancora vivo e vegeto ma nelle spoglie di mostri sintetici in tensione memori di Peter Gabriel (“So” è per ammissione di entrambi un’influenza primaria) e David Bowie, artisti capaci di rendere il più complicato dei pezzi un gioiello pop inebriante.

Nelle intenzioni del chitarrista questo doveva essere un disco pesante, con il sodale a scherzare su come da loro ci aspettasse che diventassero “come i Sunn O))) o gli Sleep”, e mi sento di dire che la missione è ampiamente compiuta. “The Mars Volta” infatti suona pesante e per esserlo non necessita di brani da venti minuti o riff gargantueschi. Per capirlo, però, va ascoltato tutto di un fiato, senza estrapolare un pezzo piuttosto che un altro.

Come il cubo con cui hanno fatto salire l’hype è materia inscindibile e oscura, anzi, aliena perché i Mars Volta si scoprono nuovi con grande, enorme sorpresa. Sta a voi capire quanto e se potete sopportare la pressione di questo viaggio in un cosmo ben al di fuori della confort zone.

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