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“Elvis”: la triste storia di un ribelle addomesticato a fare l’all-American boy

Il giorno dopo avere visto “Elvis” mi sono svegliato con ancora in testa le canzoni del film e le emozioni che mi aveva trasmesso. È quello che succede con i bei film. Sarà stata la tristezza della storia, la bravura dei due attori principali (Austin Butler e Tom Hanks), l’intensità di certe canzoni, sarà stato non so che cosa perché non sono un critico cinematografico, ma si tratta di un film toccante.

Qualche ora dopo a pranzo, ero con un amico e quando gli ho consigliato di vedere il film mi ha risposto che a lui Elvis Presley sta un po’ sulle scatole per la sua immagine da “all-American boy”: tipico bravo ragazzo americano con cui le casalinghe del paese a stelle e strisce sarebbero felici di veder uscire le figlie. Ho avuto la risposta pronta: “Elvis” è esattamente il film che spiega perché Elvis non era un “all-American boy”.

Elvis Aaron Presley nacque nel 1935 in una baracca di Tupelo in Mississippi. Suo fratello gemello uscì dal grembo della madre 35 minuti prima di lui, già morto. La sua infanzia fu segnata dalla povertà, dall’incarceramento del padre per avere falsificato un assegno e, soprattutto, dal ritrovarsi in una baraccopoli in cui era più o meno l’unico ragazzo bianco in mezzo ai neri, crescendo dunque immerso nella cultura e nella musica dei neri del Mississippi. In un episodio del film lo vediamo spiare il grande bluesman Arthur Crudup, interpretato da un irriconoscibile Gary Clark Jr., mentre interpreta la sua That’s All Right Mama.

Nel 1948 la sua famiglia si trasferisce a Memphis, in Tennessee dove Elvis inizierà a frequentare Beale Street, luogo fondamentale nella storia della musica “black”, nei cui locali crebbero talenti come Louis Armstrong, Memphis Minnie, B.B. King. A Memphis, dopo tanta insistenza, Elvis riuscì a convincere la Sun Records di Sam Phillips a fargli incidere un disco e nel 1954 uscì la sua versione proprio del pezzo di Crudup, da lui ribattezzato semplicemente That’s All Right. La sua interpretazione diventa un piccolo hit locale, entra in heavy rotation nelle locali radio country e approda al numero 28 della classifica US country. Va compreso a questo punto della storia che gli USA in quegli anni erano un paese dove vigeva, nel sud specialmente, una forte segregazione razziale di fatto, quando non di diritto. In campo musicale, ciò che noi oggi chiamiamoblues, jazz e soul, per gli americani erano “race records”: dischi razziali, roba per neri. I bianchi ascoltavano il country o il pop tradizionale della “Tin Pan Alley”, quello di Frank Sinatra per intenderci.

Con la sua That’s All Right, Elvis fece una cover country di un pezzo blues: un crossover. Ma ancora di più che l’operazione musicale, fu l’operazione culturale a essere importante: Elvis portò a un pubblico bianco la musica dei neri camuffandola appena. Adottando una sonorità un po’ più vicina ai gusti e alle abitudini musicali dei bianchi, il cantante, privo di ogni educazione musicale ma forte di una voce profonda e perfettamente impostata di suo, si appropriava della musica dei neri riproducendo, a sua maniera, anche il loro modo di cantare e stare sul palco. Una interpretazione viscerale, scatenata e estremamente sensuale della musica. Nel film, Austin Butler (lo ricorderete nella parte di Tex in “C’era una volta a Hollywood”) è bravissimo a rendere questa energia animale, interpretando Elvis mentre si esibisce

A questo punto della storia, entra in scena il “Colonnello” Parker: una sorta di impresario circense, magistralmente interpretato da Tom Hanks che, scopriremo nel corso del film essere un personaggio privo di scrupoli,  preoccupato solo di finanziare la propria ludopatia e portatore di una falsa identità. Parker sembra capire immediatamente il potenziale commerciale enorme di Elvis e ne fa una star: nel giro di un anno, Heartbreak Hotel arriva al primo posto della US Billboard. Il fenomeno è scoppiato. E questo è il momento cruciale del film, gli anni (tra il 1954 e il 1958) in cui Elvis è sé stesso. Una bomba musicale e sensuale: a quella voce profonda e intensa si unisce una performance sul palco e in TV che è tutto un dimenare il bacino. Le giovani statunitensi bianche e di buona famiglia perdono la testa e, a ogni concerto, lo dimostrano: iniziano a volare i reggiseni sul palco.

E’ una rivoluzione musicale e sessuale la sua. Ma Elvis non stava facendo nulla che gli artisti neri non facessero già da decenni: interpretare la sua musica con il corpo, senza freni e con sensualità. Negli stessi anni lo stava facendo Chuck Berry, per dire un solo nome pesante. La vera novità, a parte il modo specifico in cui roteava il bacino, consisteva nel fatto che Elvis fosse bianco. E grazie a questo, la musica “black” si fece “bianca”. Oggi si parlerebbe di appropriazione culturale.

Quello che capisci dal film è che Elvis sentiva e credeva in questa musica e per lui certe barriere razziali non avevano nessun senso. Ma quel che facevanon piacque ai moralisti che lo vedevano come un corruttore della gioventù bianca a cui egli osava portare la “race music”: per loro, i giovani bianchi non potevano ascoltare quella roba e lasciarsi andare liberamente a quelle emozioni come gli afro-americani. Organizzazioni religiose si rivolsero persino all’FBI e vi furono giudici che lo intimarono di “moderare” le sue performances. Da qui alla chiamata dell’esercito (1958) è un attimo e il film semina il dubbio che potrebbe non essere stato un caso, bensì un modo di addomesticarlo da parte del “sistema”. Elvis si rassegnò(anche perché l’alternativa era il carcere) e partì per due anni di servizio militare in Germania, tornando effettivamente addomesticato. Ed è allora che nasce la sua nuova immagine di “all-American boy” concepita da Parker per continuare a fare soldi senza provocare le potenti organizzazioni moraliste statunitensi. Il resto del film narra i tentativi, a tratti, di Elvis di uscire da questa gabbia in cui era stato messo e i continui fallimenti dovuti alla manipolazione psicologica operata da Parker e alla crescente tossicodipendenza. Nel 1977, a soli 42 anni, Elvis Presley muore per un arresto cardiaco indotto dall’abuso di medicinali e sostanze.

A 45 anni dal suo triste epilogo, questa è una storia che viene finalmente raccontata nei suoi aspetti umani, aldilà del mito di plastica che è stato creato e dell’industria di immaginette di Elvis che lo ha probabilmente reso antipatico a molti di noi, compreso il mio amico di cui sopra. Il film di Baz Luhrmann racconta magistralmente la storia di un ragazzo che, tramite la musica, si ribellò alle regole. Un ragazzo fatto rientrare nei ranghi, ma che ormai aveva crepato il muro per sempre: il muro che divideva la musica secondo linee razziali e la spontaneità e le pulsioni umane anche. Da lì in poi, fu possibile la storia del rock come la conosciamo.

Regia: Baz Luhrmann
Genere: Biografico, Musicale
Anno: 2022
Paese: USA, Australia
Cast: Austin Butler, Tom Hanks, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Olivia DeJonge
Durata: 159 min
Data di uscita: 22 giugno 2022
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

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