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Björk – Fossora

2022 - One Little Independent
art pop / techno

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Tracklist

1. Atopos
2. Ovule
3. Mycelia
4. Sorrowful Soil
5. Ancestress
6. Fagurt Er í Fjörðum
7. Victimhood
8. Allow
9. Fungal City
10. Trölla-Gabba
11. Freefall
12. Fossora
13. Her Mother’s House


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Björk gioca in un campionato tutto suo, autogestito, con regole originali autografe e i cui gli arbitri (noi) spesso, per non dire molto spesso, non ci capiscono assolutamente un cazzo. Anche quando pensano di tirare fuori un cartellino al primo accenno di album non proprio a fuoco (“Utopia” e “Vulnicura”, doppio giallo, rosso in arrivo) chiaramente sentono il peso dell’errore. Perché il metro di paragone è solo quello con la stessa Björk, rendendo difficile comprendere se ci han preso oppure no. Rischio di essere radiati dall’albo: altissimo.

Con le giuste premesse e ormai escluso da tutte le terne arbitrali dello sperimentalismo avevo smesso di credere nel culto del Folletto Islandese da appena dopo “Medúlla” che, al di là di tutto, era picco totale dopo una precedente cinquina di istant classic da far spavento. Difficile ripetersi, ma nemmeno c’era la più vaga intenzione, perché qui non sono ammessi passi indietro. Muoversi quindi in un mondo retromaniaco con il piglio di chi vede solo il futuro è un’impresa titanica, perciò si punto il focus sull’adesso, il “now”, che nel futuro ci siamo già, negli anni che in racconti e pellicole vecchie svariate decadi era oggetto di trama.

Björk definisce “Fossora” il suo album “fungino”, quello di “terra”, dopo anni di volo nell’Altrove, ed è proprio ciò che vi si respira: terriccio, marciume e scintillio nell’oscurità. Ogni brano vive di vita propria, è autonomo, una tappa in una foresta che i più nerd di noi definirebbero “dark-fantasy”, ma che nulla ha di orrorifico, semmai salvifico ma con un pizzico di solipsismo allentato da tutti i cori che si alternano di atto in atto. Il senso del tempo è alterato, la voce eternamente giovane lo elude e si affianca a legni e fiati (tanti fiati, in quantità più che abbondante), corde e tasti e sintetizzatori, tutti immersi in un buio sottobosco in cui ogni passo è un brivido. Si respira una brezza techno, come se in momenti specifici torni a battere il cuore meccanico e libero da imposizioni della rave culture ma osservate dal sottosuolo, lontani dalle sensazioni iperumane che la attraversavano. Attimi follemente gabber fusi ad un passato (questa volta il suo, in minima misura) che si scontra con sentimenti ancor più ancestrali che fanno da tappeto magico a contenuti dai significati che scavano a fondo nell’animo contorto del mondo e di chi lo abita.

Musica da camera per spiriti irrequieti e digitali, utile controparte melodica di una fiaba che fa rabbrividire dai connotati folkloristici, se per folklore intendessimo quello di “Nausicaa della Valle del Vento” ibridato a “Blade Runner”. Björk, insomma, continua a giocare la sua partita solitaria mentre gli altri tornei vanno in mille pezzi, parlando nella lingua dell’Arte in un momento storico in cui pare che nessuno sia più in grado di farlo, quantomeno non al livello in cui si trova lei.

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