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Bebawinigi – Stupor

2022 - Subsound Records
sperimentale

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Tracklist

1. Ayahoo!
2. Mr Fat
3. Go Back
4. Krisis
5. Yeah!
6. Space
7. Giù dal cielo
8. Guarda in alto
9. The Call Of The Deep
10. Camomilla
11. Zichi
12. Let The Game
13. In The Hall Of The Mountain King


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Entrare in casa di qualcuno, lanciare occhiate casuali in diversi angoli e scoprire ogni volta mondi, storie e stati d’animo diversi. Riavvolgendo il nastro dell’opera di Virginia Quaranta, tarantina di stanza a Roma e attiva nella musica dal 2016 con il moniker Bebawinigi, è questa la sensazione che si prova. 

L’ultima fatica l’ha data alle stampe giusto un anno fa – l’EP “Mao” – mentre un long mancava appunto da sei anni. Le cose da dire nel frattempo sono diventate tante, per cui “Stupor” esce in versione doppio LP, prodotto dall’etichetta indipendente Subsound Records, label romana nel cui roster figurano altre realtà ugualmente interessanti come Juggernaut e Nero Kane. 

L’inizio è folgorante: in Ayahoo! le schitarrate sono lame e la sezione ritmica l’impugnatura: un coltello a serramanico che entra nelle orecchie in modo devastante, insieme alla voce di Virginia che al contempo accompagna e si scaglia in tutte le direzioni con il suo non-linguaggio. Una volta varcato l’uscio sensoriale, Mr Fat può stagliarsi nelle nostre meningi in modo meno frenetico. Il trittico iniziale è terminato da Go Back, un’ipnotica (e acustica) ninna nanna dove Virginia si addentra in un registro vocale stavolta etereo, fatto di cantato, sbuffi e suoni labiali che si alternano alla sua consueta neolingua.

La lunga Krisis vira decisamente su sentieri cupi, un quadro a tinte scure che però ha come didascalia una voce dolce, che non spinge bensì invoglia l’ascoltatore ad addentrarsi nelle tenebre sempre più fitte. I tempi si dilatano ancora con Yeah!, un tentativo che restituisce a Virginia sempre maggiore consapevolezza nella sperimentazione di pezzi destrutturati, sui quali può dare il meglio di sé attraverso una vocalità universale proprio perché astratta.

Atmosfere cosmiche caratterizzano invece Space, laddove riesce l’intento di far convivere percussioni, synth e riff distorti. Il viaggio nello spazio continua con i tre accordi di chitarra acustica di Giù dal Cielo: al ritmo di una filastrocca distopica “corriamo verso Marte con le nostre gambe storte / e ci faremo un giro tra le stelle / e poi sputeremo giù”.

La crescente Guarda in alto è un punto di passaggio, un piccolo ponte che conduce sull’ennesima stradina tracciata in “Stupor”. The Call Of The Deep può a pieno diritto essere definita una suite, un lungo e articolato percorso fatto stavolta di ambient – che sembra quasi un field recording – nel quale si ritrovano le percussioni, gli archi suonati in modo ossessivo e i virtuosismi vocali modificati fino a somigliare a voci robotiche. Camomilla è il giusto riposo, qualche minuto di calma dopo ritmi e intensità forsennati. 

La tripletta finale inizia con Zichi, ed è una scoperta a margine dell’esplorazione di sonorità provenienti dall’estremo oriente: è la sigla di un anime giapponese demolita e rimessa in piedi con i pezzi alla rinfusa. Let The Game strizza l’occhio alla musica concreta, con i suoi rumori di fondo – tra cui le onde del mare e i tuoni – prima di riprendere il tema principale di casse suonate in modo ossessivo e chitarre che si spingono verso picchi sempre più taglienti. La chiusura è affidata alla cover – passatemi il termine – di In The Hall Of The Mountain King di Edvard Grieg, un dominio totale di sovraincisioni dove vengono stratificati in modo definitivo tutti i registri vocali ascoltati in “Stupor”.

Il tentativo di eliminare le etichette è più che riuscito: Virginia riesce ad abbattere i rassicuranti muri nei quali spesso ci si rinchiude parlando di questo o quel genere. Posto che in musica nessuno ha mai inventato niente, la bravura di un artista che si definisce innovativo deve gioco forza risiedere nella capacità di prendere ciò che esiste e tirare fuori qualcosa di interessante. Virginia riesce a farlo perché dalla sovrapposizione e rimescolamento di elettronica, gotica, psichedelìa e industrial, con il suo grammelot regala qualcosa che non rientra in nessuno dei suddetti generi.  

Ascoltando il disco e guardando le immagini a corredo, “Stupor” diventa un racconto intimo: il seno di donna in copertina, i suoi strumenti, gli oggetti che appartengono a passioni trasposte in musica ne fanno un piccolo romanzo autobiografico. Qualcosa che, a detta della stessa protagonista, non è valorizzata dai proprietari dei locali italiani dove si suona musica dal vivo: basti guardare le date del tour che è partito da Rovereto, ma che proseguirà esclusivamente in Germania. Che peccato. 

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