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The Lovecraft Sextet – Miserere

2022 - Debemur Morti Productions
drone / ambient / doom jazz / black metal

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Tracklist

1. Miserere [opus I] - Occulta
2. Miserere [opus II] - Domine
3. Miserere [opus III] - Sanctum
4. Miserere [opus IV] - Sacrificium
5. Miserere [opus V] - Humiliatum
6. Miserere [opus VI] - Libera


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Dire che i The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble siano uno dei miei gruppi preferiti è riduttivo: le loro atmosfere, il loro modo di creare quei grandi spazi urbani, grandi si, ma talmente claustrofobici e bui da sembrare usciti da qualche film noir anni ’30. Quindi capirete come, dopo lo scioglimento dei succitati, qualunque cosa fuoriesca dalla mente di Jason Köhnen (lui la mente dietro il progetto poc’anzi detto, il qui recensito e un’altra miriade di altri, interessanti, chi più chi meno) abbia la mia totale attenzione.

The Lovecraft Sextet sono la sua ultima incarnazione, e “Miserere” è il loro terzo album, ma è anche il primo a trovare finalmente la quadratura del cerchio, dopo due episodi, interessanti, ma ancora non completamente a fuoco.

“Miserere” prende tutto il passato del suo autore, lo rimescola, lo inzuppa in altri generi, si fa contagiare da atmosfere sempre più nere e cupe per buttare fuori un qualcosa che si ode come familiare ma diverso quanto basta per allontanarcisi. Sempre Doom-jazz all’ennesima potenza, intriso di umori black metal, soprattutto grazie alle vocals scream di Dimitris Gkaltsidis, di rimandi ai Dead Can Dance che furono, grazie alla splendida voce della soprano Lilian Tong, di drone ambient, tutto inserito in 6 tracce, o movimenti, che scavano nel profondo dell’animo umano, emozionano, ti buttano a terra (in questo mi ricordano i Khanate), per poi sollevarti e proiettarti nella spazio più profondo.

Ispirato al Salmo 51, uno dei salmi penitenziali più noti del compositore italiano del XVII secolo Gregorio Allegri, “Miserere” è un esperienza quasi mistica, bellissima, assai cupa, quasi disperata in alcuni frangenti, ma che fa intuire quanto il suo autore sia tornato al suo solito, e per troppo tempo perso, stato di grazia. 

Finalmente.

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