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Lamb Of God – Omens

2022 - Epic Records
heavy metal / death metal

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Tracklist

1. Nevermore
2. Vanishing
3. To The Grave
4. Ditch
5. Omens
6. Gomorrah
7. III Designs
8. Greyscale
9. Denial Mechanism
10. September Song


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I nostri americanissimi Lamb of God ritornano alla ribalta con il loro nuovo album, pubblicato sotto la Epic e intitolato “Omens”. Cosa lascerà mai presagire questo titolo? (Sì, è una battuta: omen significa “presagio” *badum tss*). Andiamo a scoprirlo.

Il primo brano è Nevermore. Che dire; inizia subito di cattiveria e con quell’amalgamarsi di basso (John Campbell) che appare e scompare e batteria dritta (Art Cruz) che rende subito riconoscibile il marchio di fabbrica dei LoG. Poi, sorprendentemente, in un momento di relativa pacatezza sentiamo addirittura Randall Blythe cantare sul serio invece che growlare e basta. Stupore assoluto. Anche perché canta bene, quindi esperimento ben riuscito. Ma, ahimè, l’assolo di chitarra – non so se di Mark Morton o di Willie Adler -  ha qualcosa di imbarazzante; e, tutto sommato, il pezzo risulta un po’ ripetitivo. Insomma, si può fare di meglio, pur nonostante i punti sorpresa.

Al secondo posto troviamo Vanishing, che parte in maniera molto più cupa di Nevermore. Infatti, rispetto al brano di prima, in questo si ritrovano anche sonorità più doom, alternate con una certa maestria a momenti più thrash e death. Siamo di fronte ad una canzone molto più dinamica rispetto a Nevermore, il cui breakdown finale, per giunta, è proprio un bijou. To The Grave, invece, non mi dice niente di nuovo, sia per l‘inizio banale, sia per lo sviluppo, apparentemente interessante ma, in realtà, dominato dal batterista che se la prende col crash sostanzialmente.

E poi, amici miei, abbiamo Ditch, a mio avviso una delle canzoni meglio riuscite in tutta la raccolta. La legna è preponderante fin dall’inizio. Ma, a differenza dei brani precedenti, qui si sentono più sonorità deathcore: riff velocissimi e doppio pedale a manetta in soldoni. A seguire abbiamo un bridge in cui Blythe parla e growla, quindi niente di nuovo; ciononostante, Ditch mi emoziona. Mi fa sentire quella stessa carica benefica per cui da adolescente ascoltavo i Lamb of God per il 70% del tempo. Ma, a parte queste suggestioni nostalgiche, anche dal punto di vista tecnico il brano è super.

Il quinto pezzo è Omens. Dopo una partenza banale sia a livello ritmico sia a livello di cantato, si rivela sorprendentemente interessante a partire dal breakdown centrale e dalla brevissima parte che segue, dove sentiamo una cassa dritta muy figa. A dispetto dei presagi di noia iniziali (ormai è diventato un inside joke, capitelo), perciò, Omens si rivela degno d’interesse, soprattutto grazie ai cambi dinamici che lo contraddistinguono. Dopodiché abbiamo Gomorrah, che inizia con riff e ritmi da definire quasi biblici (sarà il riferimento intertestuale che mi suggestiona? O le sonorità mediorientali?) per poi svilupparsi e diventare un brano più death. Ma anche Gomorrah, come alcune delle prime canzoni, pecca, ahimè, di ridondanza. La mia attenzione si risveglia solo all’ascolto del ritornello, quando sento “Everything is doomed to fail” (“tutto è destinato a fallire”) e rido, pensando che nemmeno questa volta i LoG si sono smentiti a livello testuale.

III Designs mi lascia un po’ perplessa: non mi racconta nulla di nuovo, è ripetitiva e poco dinamica, l’assolo di chitarra è imbarazzante e per tutta la durata della canzone si sente un riff che sembra un synth in un brano dei Muse. Boh.

Con Grayscale per fortuna ci riprendiamo momentaneamente. In partenza si sente un riff quasi sicuramente su scala minore armonica (sono fresca di prove, ok?) che fa presagire (e 3) una dinamica più complessa. In effetti, dalla partenza death, approdiamo su coste doom, per poi passare ad un crescendo thrash. Perciò, tutto sommato ci piace, anche perché ricorda i Lamb of God di album precedenti.

Al penultimo posto abbiamo Denial Mechanism, che, a parte repentini passaggi da ritmi death ad altri thrash, non ci dice niente di nuovo. 
Infine, invece, troviamo September Song, una pacca in testa da sei minuti che inizia con un arpeggio un po’ malinconico, per poi svilupparsi in legna dopo uno stacco di qualche secondo. Anche qui, il batterista se la prende con il crash e Blythe growla, quindi tutto regolare. Ma, ahimè, da qualche parte sentiamo di nuovo lo spettro della ripetitività e sonorità da colonna sonora per videogiochi che poco ci piacciono. Segnalo, infine, ritmi thrash a cui segue un breakdown finale

Che dire, avvocati, avvocate, avvocat3 (questo viene dalla gag di Biggiogero, sappiatelo), come fan dei Lamb of God non mi aspettavo un album rivoluzionario, tant’è che gli ultimi due o tre prima di “Omens” non li ho proprio considerati. Però, essendo partita con poche aspettative, ho probabilmente permesso a pezzoni come Ditch e Grayscale di sorprendermi in positivo. Se mi fossi posta con un atteggiamento più esigente di fronte all’album, quasi sicuramente non le avrei notate. Tutto sommato, comunque, l’alternanza tra pezzi più dinamici e altri più ripetitivi rende la raccolta relativamente accessibile – dico relativamente perché sempre di metal si tratta – quindi non male. Si può fare; senza aspettarsi granché, ma si può fare. 

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