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“(a) Senile Animal”: la bestiale rinascita dei Melvins

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Verso la metà degli anni 2000 non immaginavo che i Melvins avessero ancora delle cartucce pesanti da spendere, soprattutto dopo che negli anni ’90 fecero uscire lavori sperimentali molto interessanti per l’epoca. Tra questi c’era “Lysol“, un disco che soprattutto nella prima parte anticipava di quasi dieci anni l’inferno dronico dei Sunn O))) o gli esperimenti al limite della follia di “Honky“, il disco noise dei Melvins, e la trilogia “The Maggot“, “The Bootlicker“, “The Crybaby“, oppure ancora album pesantissimi come le mazzate sludge di “Bullhead” o dischi che seppur su major (“Houdini“, “Stoner Witch” e “Stag“) gli hanno aperto le porte ad un pubblico più ampio e li hanno resi la band di culto che sono anche oggi. Invece, nel 2006 King Buzzo e Dale Crover, orfani questa volta dell’istrionico ex-Cows ed all’epoca anche nei Tomahawk Kevin Rutmanis alle quattro corde, reclutano due “fratellini più piccoli” direttamente dai Big Business, rispettivamente Jared Warren al basso e Coady Willis alla batteria e danno alla luce un nuovo capitolo che dà il via ad un nuovo periodo musicale memorabile della loro invidiabile e ormai oggi quasi quarantennale carriera.

Non che i lavori usciti prima di questo “(a) Senile Animal” fossero da buttare via; tralasciando magari la collaborazione con Lustmord, perché purtroppo incompiuta, le stravaganze di Hostile Ambient Takeover o i due lavori con Jello Biafra non erano affatto male, ma “(a) Senile Animal” aveva un qualcosa in più, fu una vera botta e sicuramente il capitolo migliore della collaborazione con la sezione ritmica dei Big Business.

Nel disco non c’erano novità significative per quanto riguarda il loro sound; i Melvins ci propongono un classico disco sludge alla loro maniera, che trae linfa vitale ed ispirazione tanto dallo stoner/doom, quanto ancora dal post-hc evoluto dell’ultimo periodo Black Flag o dei Flipper e fino al noise. Quindi nulla di nuovo sotto il sole, ma viene dato però ancora più spazio rispetto al solito alle dinamiche di batteria, aspetto che comunque nei loro lavori è sempre stato in primo piano. Dale Crover e Coady Willis danno grandissime mazzate sulle pelli, spesso all’unisono o quasi salvo qualche botta o risposta o piccola diversificazione, ma tuttavia la resa della pacca frastornante della batteria su disco non si discosta troppo da quella di qualsiasi altro lavoro targato Melvins quando il titolare della batteria era unicamente (si fa per dire!) Dale, che si faceva comunque decisamente sentire con il suo stile pachidermico.

Si aggiunge poi la voce di Jared Warren, a volte anche da solo o ad affiancare quella di King Buzzo oltre ai cori di Dale Crover, ma non addiziona nulla rispetto a quella del mitico ricciolone come intenzione e tono. Ma allora cosa fa di “(a) Senile Animal” un discone? Sicuramente la qualità dei pezzi: difficile trovare un riempitivo in quest’album, tutti i dieci brani che lo compongono sono molto buoni (eccezion fatta forse per la sonnacchiosa A Vast Filthy Prison che non ha lo stesso sentore onirico disturbato come altre due loro “ninna nanne” dark del passato come Shevil o They All Must Be Slaughtered) e ripescano dal loro archivio il meglio delle peculiari caratteristiche del loro suono e nonostante non sia per nulla un disco ruffiano c’è spazio anche per certa melodia, non troppo ma quanto basta per abbozzare al limite anche una canticchiata sotto la doccia (anzi colgo l’occasione per chiedere scusa ufficialmente ai miei vicini di casa di sedici anni fa). Sciocchezze a parte anche questa comunque non era una novità, pure in “Stoner Witch” o “Stag” era possibile notare sprazzi di melodia nemmeno troppo velata, ma brani come Blood Witch (che ritengo una sorta di Hooch 2.0), Civilized Worm oppure A History Of Drunks o A History of Bad Man cantata da Jared Warren, credo che siano alcuni dei brani entrati di diritto nel cuore di qualsiasi fan dei Melvins. Oltre a quelli sopra citati, all’interno si trovano altri pezzoni come l’apripista The Talking Horse, ma anche Rat Faced Granny, The Hawk, The Mechanical Bride.

(a) Senile Animal” dei Melvins  aveva quindi come punto forte soprattutto l’ottima scrittura, come se i due Big Business oltre alla loro presenza avessero portato all’interno della band anche un nuovo e rinnovato entusiasmo pure in fase di composizione facendo vivere a Buzz e Dale una seconda giovinezza dal punto di vista artistico. I due nella loro carriera musicale si sono circondati spesso e volentieri di nuovi collaboratori per diletto o per necessità (basti vedere gli innumerevoli bassisti reclutati). Credo poi che questo sia il vero segreto per cui i Melvins esistano ancora oggi nonostante ad esempio la folta ed iconica chioma di Buzz si sia prepotentemente imbiancata e gli anni inizino a farsi sentire, soprattutto negli ultimi dieci anni. 

Un altro aspetto da non sottovalutare fu poi l’effetto sorpresa, perchè come sempre ad ogni uscita del gruppo di Seattle non si sa davvero mai bene cosa aspettarsi, e questo discorso vale anche oggi, un po’ come accade con un’altra band che guarda caso deve molto a loro, i Boris. Comunque, per il disco in questione il fatto ed il fascino di avere due batterie all’epoca fu forse inaspettato e contribuì alla grande approvazione di pubblico e grande presa bene annessa – anche del sottoscritto – soprattutto in prospettiva live. A tal proposito non trascurabile fu appunto anche l’aspetto visivo e sonoro ed il devastante impatto scenico dal vivo; non che prima fosse un gruppo di mammolette, anzi, e non era neanche la prima volta che si vedevano sul palco due batterie nella storia del rock, ma nonostante non sia un batterista, sarei stato a guardare per ore Dale Crover e Coady Willis pestare come dei dannati per tutto il concerto pettinando (come dice il mio amico e compagno di mille concerti Matteo) tutti i presenti a dovere. In quel periodo non mi persi praticamente mai un loro live quando passavano dalle nostre parti, la botta ed il tiro dei Melvins in quel determinato momento era quasi insuperabile.

(a) Senile Animal” fu un album dritto e potente, quasi punk nella sua fisicità e tutto sommato facile e più accessibile se paragonato a certi loro standard passati. Non era presente nessuna grande od ostica innovazione che non fosse quanto meno già stata percorsa in passato, né alcuna prolissità o lungaggine di troppo che potesse rendere complicato l’ascolto. Forse proprio per questo ebbe il grande merito di far conoscere una grandissima ed inimitabile band tra le più influenti degli ultimi tre decenni anche a nuove generazioni di rockettari e non solo.

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