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Interviste

“Prima la melodia, poi la struttura”, ovvero come fare canzoni di qualità che non annoiano: intervista a Nilüfer Yanya

(c) Molly Daniel

Il concordato collegamento su Zoom con Nilüfer Yanya non inizia sotto i migliori auspici. Un malinteso sull’orario, forse dovuto al fuso, ritarda l’inizio dell’intervista. Quando finalmente Nilüfer appare, si scusa immediatamente per l’attesa e il ghiaccio si scioglie rapidamente. La sua voce calda è uguale a quella che sentiamo nei dischi – il suo ultimo album “Painless” (qui la nostra recensione) è uscito lo scorso marzo – e questo contribuisce, almeno per me, a creare una sensazione di familiarità. Iniziando a chiacchierare colpisce poi la sua genuinità e la sua attitudine rilassata e cordiale. Ci dice di trovarsi a Manchester per uno show. Partono subito le mie prime domande; visto che l’occasione dell’intervista sono le sue due imminenti tappe italiane, il 25 a Milano e il 26 a Bologna, provo a capire quale sia la sua relazione con noi.

Non vediamo l’ora che tu venga in Italia questo mese. Qual è il tuo rapporto con il nostro Paese? Sei mai stata qui, per turismo o come musicista?

Sono stata a Milano per tipo meno di un giorno, forse. Non sono stata in Italia come si deve in realtà. Sono stata in Sardegna anche, sempre per meno di un giorno. Non so molto.

C’è qualcosa in particolare che associ all’Italia? Un luogo, una persona, un’opera d’arte o forse del cibo?

Fammi pensare…la cucina italiana perché è famosa ovunque. Forse un paio di opere. [La sento incerta, non sa che dirmi, ndr] Forse “Forte”, è italiana?. Quando ero più giovane e suonavo il piano c’era questa pianista, una donna [probabilmente si riferisce a Rita Forte come ho potuto successivamente googlare, ndr]. Incasso senza troppo stupore la sua scarsa conoscenza di “un popolo di santi, poeti e navigatori” che ci illudiamo tutti dovrebbero conoscere e passo al sodo, quello che c’interessa davvero.

Viaggi in tour con la tua band? Com’è la formazione?

Sì. Io suono la chitarra e canto. Jazzi suona il sassofono e il violino e canta. Jeff suona il basso. Alex suona la batteria.

Veniamo alla musica. Di recente hai pubblicato una cover di PJ Harvey che mi è particolarmente piaciuta. Aggiunge un tocco personale molto forte, non ricorda molto l’originale ma ne conserva la crudezza. Come la vedi tu?

Grazie! Non ho cambiato molte cose della canzone stessa e l’ho semplicemente suonata nel modo in cui sentivo che avesse senso per me. Mi è venuto naturale rifarla, quindi hai ragione.

PJ Harvey è una delle tue principali influenze musicali?

[Ci pensa un po’, ndr] Non credo…Ho ascoltato molto “Rid Of Me” e ci sono anche alcune altre canzoni che ho ascoltato molto di lei. Ma non direi che è una delle mie principali influenze musicali, ma credo che allo stesso tempo lo sia forse. Non ascolto molto la sua musica in questo momento, ma mi piace davvero [ride, ndr]!

Chi metteresti allora nella lista della influenze?

Direi sicuramente i Pixies, se torniamo indietro nel tempo. Sicuramente loro sono una delle mie principali influenze musicali. Fammi vedere…forse The Cure, forse Nina Simone. Non riesco a pensarli tutti, magari ce ne sono altri.

Ho visto che hai aperto di recente in concerto per i Roxy Music. Questa è una band fondamentale nella storia dell’art-rock. Sono ancora rilevanti per un musicista della tua generazione? Facevano musica 50 anni fa, non eri nemmeno nata. Li conoscevi prima di lavorare con loro?

Abbiamo fatto uno spettacolo lunedì e ne faremo uno a Manchester stasera e ne faremo uno a Londra venerdì, quindi sto ascoltando molto Roxy Music in questo momento [ride, ndr]…Ma non li avevo sentiti prima. La mia famiglia sì, ma io no. Avevo sentito Brian Ferry e Brian Eno, ma non i Roxy Music.

Erano come PJ Harvey forse, ma 20 anni prima. Potresti non averne sentito parlare ma hanno avuto una forte influenza. Sono essenziali nella storia della musica rock… 

Sì, sono fantastici!

(c) Molly Daniel

Ho avuto il piacere di recensire il tuo ultimo album, “Painless”. Ciò che mi ha colpito e che ho scritto, è la tua capacità di imporre melodie contagiose che si appiccicano immediatamente all’ascoltatore, pur mantenendo una complessità musicale che fa sì che non ci si annoi facilmente. È un risultato voluto o casuale?

Grazie, sono felice che ti sia piaciuto! Quando ascolto la musica in realtà sono attratta prima dalla melodia, ma poi anche dalla struttura musicale. La struttura determina quanto ti ci vuole prima che ti annoi. E la musica allora ritorna. È sempre così. Magari non ne sei consapevole, ma succede spesso. Una canzone torna alla mente quando non te lo aspetti se ha un elemento di sorpresa e più diventa interessante più l’ascolti. Quindi forse è per questo.

Allora forse avevo ragione, forse questo è quello che stai cercando. Una melodia, ma allo stesso tempo qualcosa che durerà. 

[ride, ndr], bellissimo.

Da ascoltatore, “Painless” mi è sembrato più ricco di trame musicali, più sofisticato in termini di produzione, rispetto al primo album. Più art rock e meno indie in un certo senso. Anche tu la vedi così?

Si, credo di si! È stato più drammatico e un po’ più…Come se ci fossero più sfumature in quello che faccio. Penso che molto sia perché stavo lavorando con il mio amico Wilma Archer alla scrittura. Con lui abbiamo composto molto e questo ha portato una maggiore diversità nella musica. Questa collaborazione l’ha resa più ricca.

Qual è il tuo processo di composizione se ne hai uno? Immagino che tu lo faccia con la tua chitarra, è così?

Sì, mi piace scrivere alla chitarra. Al principio scrivo le canzoni con la mia chitarra. Inizia sempre con la chitarra, poi viene fuori la melodia.

Qual è la tua educazione musicale? Hai preso lezioni formali?

Ho suonato il piano quando ero piccola. Poi ho preso lezioni di chitarra a intermittenza e ho avuto un insegnante di songwriting per un po’…una ficata. Quando avevo 15 o 16 anni c’era questa scuola di musica dove andavo nei fine settimana. E ho avuto lezioni lì.

Un fatto interessante su di te è che hai un background personale molto misto: caraibico, turco, irlandese. E sei cresciuta a Londra. Come tutto questo si riflette nella tua musica?

Non lo so, non credo si possa dire solo ascoltando la mia musica da dove vengo. Penso che sarebbe impossibile [ride, ndr]. Penso che in realtà ci sia molto ancora da scoprire quando si tratta del mio background culturale. Penso che sia qualcosa che c’è e se voglio inserirlo nella mia musica forse potrò farlo un giorno, ma non sono sicura di quanto ce ne sia in questo momento. Ho suonato il sax in una canzone dell’album che è uno strumento turco. Ma è davvero una piccola sezione.

Vedo che sei responsabile dell’artwork del tuo ultimo album. Sembra anche che tu abbia un gusto interessante per la moda. I tuoi outfit sono molto molto carini. La parte visiva della tua arte è qualcosa di importante per te e che desideri sia collegata alla musica e ai testi?

Sono cresciuta lavorando con le mani, disegnando e dipingendo perché anche i miei genitori sono entrambi artisti. Quindi siamo cresciuti tutti così. Volevo essere un artista prima ancora di voler fare musica, è qualcosa che davvero non ho mai messo in dubbio. Mi piace davvero molto fare cose con le mie mani. È un peccato che la musica sia vista come una cosa separata dall’artwork e dire “lasciamo che lo faccia qualcun altro”. Mi piace fare il più possibile intorno all’album, all’EP o al progetto, anche perché penso che altrimenti la maggior parte delle volte non avrò nemmeno la possibilità di vedere come sarà l’artwork finché non uscirà. Quindi provo a inventarmi qualcosa, pasticcio un pò e normalmente è così che realizzo la maggior parte dell’artwork. E per la parte visual, Molly Daniel fa tutti i miei video musicali perché ha un background cinematografico e fotografico.

Parliamo dei testi per concludere. I tuoi testi non sono molto diretti ma si ha l’impressione che a volte possano essere un po’ personali. È così?

[Annuisce convinta, ndr] Sì! Penso che siano diventati molto più personali negli ultimi anni. All’inizio ero più vaga quando scrivevo [ride, ndr], forse perché fa un pò paura dire cosa stai davvero pensando nella tua testa, ma non credo che ogni canzone debba essere una sorta di confessione profonda. Stai solo giocando con idee e parole. Quello che mi capita ora è che prima di tutto sono molto più presa dalla melodia e forse i testi diventano…non direi secondari…ma devono adattarsi esattamente alla melodia. Se non lo fanno, non è il testo giusto.

Grazie Nilufer. Questo è tutto. Tutto ciò che mi resta ora è ringraziarti per il tempo che hai trascorso con me e per le tue risposte. Ti auguriamo un tour di grande successo, in particolare la tappa italiana e non vediamo l’ora di vederti di più e ascoltare altra tua musica nel prossimo futuro.

Grazie Giovanni, è stato un piacere. Goodbye, ciao [saluta in italiano alla fine, ed ecco finalmente una cosa che conosce, ndr]!

(c) Molly Daniel

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