1. Anna Calls From The Arctic
2. Kwenchy Kups
3. Gary Ashby
4. Driver’s Story
5. Hot Penny Day
6. Stumpwork
7. No Decent Shoes For Rain
8. Don’t Press Me
9. Conservative Hell
10. Liberty Log
11. Icebergs
Squadra che vince non si cambia. La saggezza popolare insegna questo, e chi sono i Dry Cleaning per opporvisi? Per il loro secondo album, “Stumpwork” (2022, 4AD), la band di South London torna ai Rockfield Studios – di nuovo sotto l’egida dello storico produttore John Parish – per confezionare l’erede di “New Long Leg”, l’esordio discografico che li ha imposti come una delle nuove e più allettanti realtà musicali del Regno Unito.
Sin dai primi due EP, i Dry Cleaning hanno saputo disorientare e prendere in contropiede il grande pubblico, puntando tutto sulla frontwoman Florence Shaw, la quale si fa beffe del bel canto, per abbandonarsi invece ad una declamazione surrealista, che scorre asettica sulle intelaiature post-punk/jangle-pop dei suoi compagni di viaggio. Al “disinteresse” canoro si accompagnano dei testi tutt’altro che sterili, anzi molto intimi e franchi, da cui traspare chiaramente la loro gestazione jammata ed improvvisata. La miscela viene riproposta qui ancora una volta.
Una domanda però sorge spontanea: quanto ancora può essere fruttuosa questa formula? Senza dubbio, la qualità è alta e l’identità sonora estremamente riconoscibile (sono presenti tantissime influenze della musica post-something, su tutte Sonic Youth e Smiths). Eppure, la scissione tra musica e voce rischia alla lunga di diventare spossante e ripetitiva. Tra queste due linee parallele ci sono intersezioni anche interessanti, che – guarda caso – coincidono inevitabilmente con i punti in cui la Shaw decide di lanciarsi in una qualche timida intonazione; ma l’incessante reiterazione del suddetto schema potrebbe gradualmente lavare a secco ogni coinvolgimento dell’ascoltatore.
In “Stumpwork” comincia a concretizzarsi questo timore. Al netto della voce, le tracce sono tutte di pregevole fattura e trasudano il grandissimo potenziale dei Dry Cleaning. Tuttavia, l’ostinato spoken word della frontwoman sembra recluderlo in una gabbia di inespressività, fino ad appiattirne il risultato finale. Ripeto, l’album gode di una buona solidità strutturale e rimane un prodotto godibile per i fan del genere, ma racchiude in sé i germi di un possibile futuro avvizzimento.
Con la speranza che queste inquietudini possano non materializzarsi mai, vi consiglio di dare un ascolto a questo disco e farvi la vostra idea in merito. Ed insieme, invece, auguriamoci che l’avvenire possa portarci tanto nuovo stupore firmato Dry Cleaning.