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Makaya McCraven – In These Times

2022 - International Anthem
jazz fusion

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Tracklist

1. In These Times
2. The Fours
3. High Fives
4. Dream Another
5. Lullaby
6. This Place That Place
7. The Calling
8. Seventh String
9. So Ubuji
10. The Knew Untitled
11. The Title


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“In These Times” comincia e finisce con degli applausi. Ma invece del feeling di una esibizione live, la sensazione è più straniante. Sembra di trovarsi in un “non-luogo”, che può essere indifferentemente una sala concerti, uno studio di registrazione, casa propria. In sintesi, qualsiasi luogo è giusto per “In These Times”, ma ovunque ci si trovi, l’applauso è dovuto.

Di fatto, il lavoro che ha portato a questo disco è durato oltre 7 anni e comprende registrazioni fatte in giro per il mondo, sia in concerto che in studio, a cui Makaya McCraven ha aggiunto ulteriori sovraincisioni sue e dei suoi amici: tra gli altri compaiono il bassista Julius Paul, il chitarrista Matt Gold, il vibrafonista Joel Ross, l’arpista Brandee Younger, il trombettista Marquis Hill, il flautista De’Sean Jones, il sassofonista Greg Ward, Greg Spero al piano. Pezzi da novanta della scena jazz contemporanea, qui combinati come in un puzzle, di nuovo, senza luogo, senza un centro geografico.

Come era ormai chiaro da tempo, Makaya McCraven non è solo uno straordinario batterista, band leader e compositore, ma anche un originale producer, che compone i suoi dischi per strati. Cose prese qui e lì a cui ne aggiunge altre. In una intervista per “Rumore” questo mese, l’artista spiega come il campionamento sia una caratteristica da sempre della mente umana, che oggi la tecnologia rende tangibile. Da sempre, le nostre memorie si accumulano e si stratificano anche per cibare la creatività, degli artisti in particolare. Campionare offre la possibilità di fissare tutto ciò su musica e trasmetterlo.

Ed il risultato in questo disco, è un nuovo stupefacente tassello di una discografia già corposa in meno di tre lustri di attività. La batteria di Mc Craven è un collante. Non va mai sotto i riflettori, non si lancia in assoli o in virtuosismi inutili (quando lo fa su This Place That Place sono tutt’altro che inutili), ma rimane sempre sul groove, sul tiro, chiamatelo come volete, ma non chiamatelo ritmo. Perché McCraven non ti fa certo ballare e nemmeno muovere, ma se ti concentri sul suo strumento t’ipnotizza, mentre lega tra di loro e accompagna il fluire dei diversi solisti che lo accompagnano, i quali si prendono la scena a turno. Gli assoli di Ward sulla title track, di Gold su The Knew Untitled, di Jones su Seventh String, da soli varrebbero il prezzo del disco. Ma qui c’è più, c’è molto di più. Questa non è la fusion muscolare di una volta che serviva per gareggiare nelle classifiche del miglior batterista, del miglior chitarrista, ecc… Innanzitutto, c’è la melodia. Anche questa, recitata a turno: dagli archi su The Fours, idal bassosu High Fives, dalla chitarrasu Dream Another, dal vibrafono su So Ubuji, dal piano su The Knew Untitled, dalla tromba su The Title e così via.

Ma soprattutto, in questo disco c’è visione. La visione di una musica che, pur rimanendo ben ancorata ai grandi del passato, guarda avanti, accompagnandosi a un progresso e a una interculturalità globale entrambi innegabili. Il risultato è un disco che non stufa mai, conciso quanto basta (41 minuti divisi su 11 tracce) per volerlo riascoltare in loop, sorprendendosi ad ogni ascolto di un dettaglio sfuggito in precedenza.

Oltre il jazz, la world music, la fusion, l’hip-hop o qualunque altro genere, c’è Makaya McCraven con i suoi sodali della benemerita International Anthem Recording Co. (Angel Bat David, Alabaster DePlume, Jaimie Branch RIP, Ben Lamar Gay, ecc…), che guida da qualche anno un movimento sempre più diffuso e che passerà certamente alla storia.

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