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“The Playlist”: la serie Tv che racconta come Spotify ha salvato l’industria della musica scordandosi dei musicisti

“The Playlist” è una brillante miniserie svedese in 6 puntate che descrive la nascita del servizio di streaming che ha cambiato l’industria musicale per sempre, salvandola dal colpo mortale che la pirateria online le stava dando all’inizio del secolo. La serie si svolge in modo originale, con una linea temporale non lineare, che fa due passi avanti e uno indietro lungo le varie puntate, ri-raccontando la stessa storia dal punto di vista di un protagonista diverso. Il tutto, per le prime 5 puntate, basandosi sul libro investigativo “Spotify Untold”, dei giornalisti svedesi Sven Carlsson e Jonas Leijonofvuld, non ancora tradotto in italiano.

Si comincia nel primo episodio, “La vision”, con il racconto di Daniel Ek, fondatore e CEO dell’azienda. È la storia di un brillante giovanissimo programmatore che dopo avere guadagnato i suoi primi 12 milioni di corone svedesi vendendo una start-up, decide di lanciare la sua sfida alla Silicon Valley. L’intuizione gli viene dall’osservazione di ciò che il sito “The Pirate Bay” e altri stavano facendo: musica gratis per tutti, ma con tempi lunghi tra il clic dell’utente e l’esecuzione e, soprattutto, con un danno enorme per le etichette e gli artisti che venivano derubati della loro opera. Tutti noi che abbiamo più di 30 anni abbiamo vissuto quell’epoca e abbiamo approfittato di quelle pratiche, almeno qualche volta.

Ek concepisce l’idea di un “Pirate Bay” legale ed efficiente. Sono quattro i problemi che deve risolvere per realizzare la sua visione: convincere l’industria musicale a cooperare con lui, sistemare gli aspetti legali connessi al diritto d’autore, creare un player musicale efficiente senza i tempi di attesa del buffering, trovare i finanziamenti. Le successive quattro puntate sono la storia delle persone che hanno lavorato con lui su questi aspetti, raccontata da ognuno di loro: Per Sundin, top manager musicale, rappresenta “l’industria”; Petra Hansson, è l’avvocato che racconta il punto di vista de “la legge” e che troverà il punto d’incontro tra le esigenze del fondatore e quelle dell’industria; Andreas Ehn è “il programmatore” geniale che forzerà le regole dell’internet per realizzare la visione di Ek di un player musicale istantaneo (0,02 secondi per far partire la canzone era la fissa cui Daniel non voleva rinunciare); Martin Lorentzon è il simpatico e vivace finanziatore il cui coraggio imprenditoriale renderà il tutto possibile.

Lungo queste cinque puntate il racconto si svolge in maniera avvincente. Alcune scene vengono ripetute e ripresentate secondo il punto di vista del protagonista di quella specifica puntata, con una tecnica cinematografica non inventata dal regista Per Olav-Sorenssen ma comunque resa qui con grande efficacia e la giusta leggerezza. Mentre lo spettatore sa già che alla fine “la vision” si realizzerà e tutti vivranno felici e milionari, è tuttavia estremamente interessante calarsi nel punto di vista dei vari protagonisti. Ciò consente di comprendere a pieno quello che stava succedendo nel mondo musicale nei primi anni del secolo e di come Stoccolma si fece centro del mondo nel realizzare una rivoluzione tecnologica fondamentale per la sopravvivenza dell’industria musicale.

È un dato di fatto che, aldilà delle sue motivazioni politiche più o meno condivisibili (che la serie non manca di rappresentare dando spazio ai fondatori di “Pirate Bay”) la pirateria è, appunto, pirateria. Cioè furto di opere, che nelle dimensioni che si stavano verificando in quel momento stava mettendo in ginocchio non solo le etichette, ma anche i musicisti, uccidendo la possibilità per loro di vivere della propria arte. Il problema andava risolto ed Ek ebbe il merito di capirlo prima di tutti. Peraltro, anche prima delle etichette; le grandi major, come è tipico del grande capitale, malgrado le perdite e i licenziamenti che subivano, rimanevano restie a ogni cambiamento. Che però era necessario. Il punto d’incontro tra la pretesa di Ek di dare musica gratis al pubblico e quella delle major di essere pagate,  fu trovato da Hansson con la funzionalità “premium”: la musica rimane gratis ma chi vuole più funzionalità, come quella di farsi le playlist a piacimento, paga.

L’altro tassello fondamentale, ci spiega la serie, fu la cooptazione della “industria” nella “vision”. Ossia, le major non si sono limitate a dare il permesso a Spotify di usare la musica, ma sono diventate co-proprietarie di Spotify. Risolti questi punti, il mercato dello streaming musicale può partire e diventare la cosa che conosciamo oggi: a livello globale, nel 2021 dallo streaming sono venuti i 2/3 del fatturato della musica registrata, con oltre mezzo miliardo di abbonati paganti. Di questi, 195 milioni appartengono a Spotify. In termini di quota di mercato, il colosso svedese ne controlla 1/3, a livello globale. I suoi due principali concorrenti, Apple Music e Amazon Music, sommati non fanno i numeri di Spotify. Sulla spinta dello streaming, tutta l’industria musicale sta vivendo un nuovo boom: nel 2021 è arrivata a valere 25,9 miliardi di dollari: +18% rispetto al 2020 e, in assoluto i numeri più alti del millennio.

Tutto bene e grazie Spotify che ci hai salvati, allora. Oppure no? Di questo tratta la sesta puntata di “The Playlist”: “l’artista”.

[SPOILER ALERT]

Qui si esce dal docufilm e si entra nella fiction, raccontando la storia immaginaria dell’artista svedese Bobbi T, amica di liceo di Daniel Ek, in un futuro prossimo (2024). La quale non riesce a pagare l’affitto e a mantenere la figlia con i proventi di centinaia di migliaia di streaming. Bobbi T frustrata dall’atteggiamento del suo vecchio amico, fattosi milionario grazie al lavoro di lei e dei suoi colleghi musicisti, decide di passare alla protesta. La questione arriva fino al congresso USA che convoca e interroga Bobbi T e Ek sull’opportunità di fissare per legge dei compensi minimi per gli artisti.

[/ SPOILER ALERT]

ImpattoSonoro si era occupato di questa problematica nel marzo dello scorso anno con questo articolo, per primo in Italia. La sesta puntata di “The Playlist” ricalca quanto da noi trattato e la denuncia del leader del sindacato dei musicisti UMAW, da noi intervistato. Al punto che viene il sospetto che, nel migliore dei casi, chi ha scritto la sceneggiatura si sia studiato per bene i loro argomenti. Ma è un peccato che proprio la sesta puntata di “The Playlist” sia la più debole dal punto di vista televisivo. Tutta la tensione narrativa delle prime cinque puntate si perde nella sesta per fare spazio a un racconto poco credibile e poco avvincente. Qualcuno di noi crede davvero che giungerà presto un movimento di massa che conduca a proteste di piazza di “artisti e fan” nelle principali capitali mondiali per convincere Spotify a pagare gli artisti in maniera equa? A parte che se davvero esistono queste masse interessate all’equo compenso dei musicisti basterebbe che qualche decina di milioni di abbonati spostassero i loro soldini da Spotify alla concorrenza, senza bisogno di uscire da casa. Difatti, quello che “The Playlist” manca di spiegare bene a uno spettatore non avvezzo alla materia è che il problema non è lo streaming, ma Spotify. Il colosso svedese paga 1/3 di cent per stream (0,003 dollari); la metà di Apple; un terzo di Tidal; 1/12 di Qobuz. Se a qualcuno interessano i dettagli li trova nel nostro articolo citato sopra. Ma siccome saranno sempre troppo pochi quelli a cui interessa, dubito che vedremo le piazze scontrarsi con la polizia per chiedere compensi equi per la musica, così come accade in “The Playlist”.

Resta alla fine il dubbio se questa serie sia un’occasione sprecata, oppure un tentativo comunque meritorio di denunciare lo sfruttamento dei lavoratori della musica ad opera di un monopolista partecipato dalle major. “The Playlist” convince nella parte in cui ritrae l’ascesa verso la ricchezza di un gruppo di ragazzi che hanno indubbiamente salvato l’industria musicale, grazie ad una vision, a un ingegno e a una tenacia fuori dal comune. Non convince purtroppo quando vorrebbe sensibilizzare un pubblico più vasto sul fatto che l’industria musicale è salva, ma agli artisti vanno solo le briciole. Così come successo in altri campi, l’internet che doveva portare democratizzazione e distribuzione, ha portato accentramento di potere e risorse nelle mani dei pochi al vertice della catena, anche nell’industria musicale. E questo, per la tenuta delle libertà di tutti noi (non solo dei musicisti), è il vero problema della nostra epoca. E su questa denuncia sociale “The Playlist” ha ragione; ma avrebbe potuto esporla meglio, vista la stoffa narrativa delle prime 5 puntate.

Soggetto: Christian Spurrier, Sofie Forsman,Tove Forsman
Regia: Per-Olav Sørensen, Hallgrim Haug
Cast: Christian Hillborg, Gizem Erdogan, Edvin Endre, Ulf Stenberg, Severija Janusauskaite, Joel Lutzow, Ella Rappich, Jonatan Bökman, Lucas Serby, Erik Norén
Episodi: 6
La trovate su: Netflix

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