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L'editoria(m)ale

Legge anti-rave: quando il veleno legislativo soffoca il rimedio ritmico e la libertà che rappresenta

Editoria(m)ale coraggio di suonare

Una società che non è morta del tutto deve esercitare, verso questi fenomeni, apertura e tolleranza, perché l’alternativa si chiama stato di polizia o, peggio ancora, totalitarismo

Cosmo

Ingabbiare in poche righe il fenomeno rave è un’operazione complessa, che rischia di scadere nella banalizzazione di un movimento eterogeneo e articolato molto più di quanto l’italiota medio, a causa delle sinapsi molto spesso rallentate o, peggio, bruciate dalle stesse sostanze psicotrope che contesta, riesca lontanamente ad immaginare. Ma è necessario fare il punto della situazione. Urge, anzi.

Urge e brucia perché, a questo punto del gioco, in ballo c’è molto ma molto di più del divertimento che svicola e sfugge alle logiche dell’industria culturale mainstream. C’è di mezzo la libertà personale e, come vedremo più avanti, anche la libertà di contestare. E la contestazione è parte di una società che dir si voglia democratica.

Ma voglio prenderla larghissima, partendo da molto lontano e questo occorre per addentrarci meglio nella polemica e difenderci dalla sterilità delle opinioni populiste che abbondano in ogni dove. Perché ammettiamolo, siamo soffocati dalla narrazione tossica ad opera dei media che supera di gran lunga la tossicità delle sostanze illegali consumate alle feste. Perché il problema fondamentale, a quanto pare, è la droga. Anzi. La sicurezza pubblica messa a rischio dalla droga.

Tralasciando, o trattando marginalmente i motivi per i quali si partecipa ad una rave in quanto la festa, la manifestazione, la condivisione collettiva di un dato stato d’animo in un dato spaccato temporale e spaziale sono insiti nell’essere umano, cercherò di trattare il fenomeno nei due aspetti che al momento necessitano di una certa analisi: storico e soprattutto politico. Questo per avere a portata di mano i punti cardine sui quali, a mio avviso, poggia il rave senza trascinarci dietro retoriche superflue ma senza snaturare nulla di quello che realmente è.

Photo: Matt Smith

Cominciamo a definire quando, per la prima volta, un movimento giovanile è stato giudicato illegale. Perché, sempre definendo ciò che non si è, si arriva, forse, ad una definizione di ciò che si è. Le politiche repressive messe in atto dalle istituzioni nacquero in Inghilterra sotto il governo Thatcher, facendo da modello a tutta Europa negli anni a venire. Nell’ottobre del 1994, l’allora Ministro degli Interni conservatore inglese Michael Howard, promosse una serie di modifiche ad una legge esistente, il Criminal Justice Act, con l’obiettivo di porre un freno ai rave party, alle feste gratuite e ai festival itineranti, battezzandole con il pomposissimo nome Criminal Justice and Public Order Act. Di fatto, come spesso accade, è solo una scusa istituzionalizzata per conferire alla polizia maggior potere. L’intera Parte V della legge riguardava la violazione collettiva e il disturbo sul territorio e comprendeva sezioni contro i rave e ulteriori sezioni contro la violazione dirompente, gli abusivi e i campeggiatori non autorizzati – in particolare la criminalizzazione di reati precedentemente civili. Ciò ha colpito molte forme di protesta, tra cui il sabotaggio della caccia e le proteste contro le strade.

Le sezioni 63-67, in particolare, definivano qualsiasi raduno di 20 o più persone in cui:
63(1)(b) “musica” include suoni interamente o prevalentemente caratterizzati dall’emissione di una successione di battiti ripetitivi (questo punto riprende una legge fascista che impediva suoni jazz ripetuti e sincopati).

Nel 1994 come risposta al Criminal Justice And Public Order Act gli Autechre pubblicanto “Anti Ep” in cui è incluso il brano Flutter, una traccia in cui a succedersi sono sessantacinque pattern di drum machine tutti differenti, così da sfuggire a qualsiasi imputazione di “ripetitività” (Valerio Mattioli, “Exmachina: Storia musicale della nostra estinzione 1992 → ∞”)

Questa legge, che penalizzava qualunque forma di aggregazione spontanea non autorizzata su qualsiasi territorio, è stata modello per altre leggi in Europa, come la Legge Mariani in Francia e, in Italia, un disegno di legge nell’ottobre del 2002. Non è la prima volta che in Italia si parla di leggi contro i rave. Ora, immaginiamo lo scenario in Italia alla fine del 2002. Al governo un Berlusconi alleato con Lega e Alleanza Nazionale, che si trova sbattuto di fronte all’impossibilità di mantenere le promesse elettorali a causa di una crisi economica internazionale, l’economia italiana indebolita e un Ministro degli Interni, Scajola, dimissionario in seguito alle tristi dichiarazioni su Marco Biagi e soprattutto a causa della sua pessima, per usare un pallido eufemismo, gestione del ministero durante il G8 di Genova. Sono gli anni della Riforma Moratti. In tutta questa pioggia di caos e merda che si fa? Si cosa ci si occupa? Delle feste, Ebbene sì, delle feste.

Eccone un piccolo estratto:

I rave parties pongono, vari problemi, vari problemi di ordine sociale: spaccio e consumo di sostanze stupefacenti e psicogene, ubriachezza, risse, occupazione di spazi non autorizzati, infrazione di recinzioni, deterioramento di proprietà, parcheggi caotici, molestie sonore.

testo completo del disegno di legge https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/66690.pdf

Ad occhio, e senza fare chissà quali congetture, questo estratto potrebbe riguardare qualunque attività commerciale notturna. 

Q- U- A- L- U- N- Q- U- E.

Col tuo sorriso per cui tutti vanno pazzi
Ci vendi a tranci dopo che ci hai fatto a pezzi
Ed ogni giorno è un buongiorno, tranquillo, contento
Sicuro per il tuo investimento
Basta un sorriso e il pranzo è pronto
E tanto c’è uno stronzo che quando te ne vai ti paga il conto

(Colle der Fomento – Sorridi)

Quindi, la domanda che mi viene in mente è: siamo sicuri si stia parlando di sicurezza pubblica oppure il discorso è da rivolgere alle logiche di profitto insite nelle attività commerciali autorizzate? E tutto questo interesse per le feste non autorizzate non è un po’ uno specchietto per le allodole (che allora, di allodoloni, ce ne erano molti meno) per distrarre dalla fanghiglia putrescente prodotta in pochi mesi dal governo Berlusconi?

Ma andiamo avanti. Nel Decreto-legge 162 emanato in fretta e furia (sembra quasi lo avessero già pronto nel cassetto. Sembra, eh!) in seguito al Witchtek 2k22 di Modena le restrizioni si fanno più dure. Il provvedimento, detto “anti-rave” introduce una nuova fattispecie di reato, l’“invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Per fare questo dopo l’articolo 434 del Codice Penale viene inserito il 434bis che recita:

L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica

Ok, e le occupazioni scolastiche? E la possibilità di fare un innocuo flashmob non autorizzato? Il decreto potrebbe rivelarsi incostituzionale in quanto viola l’articolo 17 della Costituzione:

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Con la questione del pericolo pubblico imminente la destra, da anni, ci ha basato un’intera campagna elettorale. Lo spettro del pericolo che aleggia sulla popolazione la rende vulnerabile e, quindi, controllabile. Il dispositivo rave elude i controlli, pertanto è visto come l’uomo nero dell’industria del divertimento nel quale ogni cosa è brutta, sporca e cattiva. Chi va ai rave è tossico. Chi va ai rave è un parassita sociale. Chi va ai rave è una merda letale. Chi va ai rave non ha idee politiche. Nulla di più errato, se si approfondisse veramente il fenomeno nella sua interezza e non solo attraverso la patina che riveste la superficie delle cose.

Mi pongo una domanda: ma di sicurezza legata ai luoghi abbandonati che ospitano le feste se ne parla solo ora? Delle infrastrutture scolastiche marcescenti o dei capannoni industriali ancora in attività che non offrono alcuna possibilità di scampo a coloro che lavorano al loro interno non si parla mai? Perché l’accento è scritto nel punto sbagliato della narrazione? Quello che i raver fanno è porre l’accento sulle vittime di un sistema capitalistico estremamente crudele che non risparmia nemmeno i cadaveri in cemento armato. Gli “ecomostri” sono delle vittime e, con loro, tutta la società. Non è la droga assunta dal raver in un contesto “protetto” il problema, ma la tossicodipendenza nelle frange più liminari della società. Quella che davvero risulta essere un problema sociale, quella a cui nessuno può sfuggire perché non c’è scelta. Il rave è un sistema libero a cui i partecipanti decidono deliberatamente di prendere parte, il senza fissa dimora che schiuma in overdose davanti alla sede della Comunità Diocesana senza nessuno che si fermi ad aiutarlo è un problema che riguarda davvero tutti. Meloni compresa, Salvini compreso, Letta compreso.

I rave non hanno certo bisogno del mio o del punto di vista collettivo per continuare ad esistere. Loro esistono, esisteranno sempre. Ed esisteranno, che Il Meloni lo voglia o no, nonostante le leggi becere e repressive che i vari governi filofascisti metteranno in atto.

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