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Keiji Haino & Sumac – Into This Juvenile Apocalypse Our Golden Blood To Pour Let Us Never

2022 - Thrill Jockey
sperimentale

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Tracklist

1. When logic rises morality falls Logic and morality in Japanese are but one character different
2. A shredded coiled cable within this cable sincerity could not be contained
3. Into this juvenile apocalypse our golden blood to pour let us never
4. Because the evidence of a fact is valued over the fact itself truth??? becomes fractured
5. That fuzz pedal you planted in your throat, its screw has started to come loose Your next effects pedal is up to you do you have it ready?
6. That “regularity” of yours, can you throw it further than me? And I don’t mean “discarding” it


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Complesso, opprimente, inquietante, claustrofobico e disorientante, difficilissimo da decifrare e quindi da comprendere. Insomma, non per tutti ma allo stesso tempo appagante e sorprendente se ci si riesce a predisporre con il giusto spirito e con un altissimo grado di attenzione per cogliere tutte le sfumature. Così risulta l’ascolto di un disco collaborativo tra il maestro nipponico del rumore Keiji Haino ed i post trita tutto Sumac, capitanati da Aaron Turner. Terza collaborazione in assoluto dopo quella del 2018 e quella subito successiva dell’anno dopo. Di mezzo quello che sappiamo ormai bene tutti, ma una volta che c’è stato modo di ritornare ad una pseudo normalità e alla possibilità di potersi nuovamente rincontrare di persona, ecco che subito i nostri decidono di riunire le forze facendo uscire un nuovo capitolo, “Into This Juvenile Apocalypse Our Golden Blood To Pour Let Us Never,” ancora una volta edito da una delle etichette più devote alla pazzia sonora ed alla sperimentazione in generale, la Thrill Jockey.

Credo che quello che unisca profondamente questi incredibili artisti sia, oltre ad essere ampiamente fuori di melone e l’ovvia stima reciproca, l’affinità e la voglia se non addirittura la necessità di proporre musica senza davvero alcun tipo o sorta di prevaricazione mentale, il tutto all’insegna della piena libertà di espressione artistica, cosa del resto ben evidente se si guarda la carriera di Keiji Haino, ma lo stesso vale per i Sumac. Sembra un’ovvietà, ma spesso lo si dice riferendosi ad un disco o a band un po’ a caso, come frase fatta, ma in questo caso lo è per davvero. Ciò lo si evince, ed è facile da cogliere chiaramente, dalla modalità di composizione, on stage, così de botto si potrebbe dire, in modo da far cogliere la spontaneità del lavoro e questo aspetto è assolutamente lampante ed alla luce del sole.

Altro obiettivo è sicuramente quello di non dare punti di riferimento e destrutturare la forma canzone: non esistono mai veri e propri brani canonici, ritornelli, strofe, ma nemmeno intro o ponti da queste parti non si sa davvero cosa siano; il risultato sono delle lunghe jam che dipingono quadri astratti spaziali e apocalittici, noise cacofonico alienante dove perfino il silenzio è un rumore, improvvisazione tendente al free jazz, e sperimentalismo estremo, sorretto dagli svarioni delle chitarre e dagli effetti di Aaron Turner, ma soprattutto dell’artista del Sol Levante, squarciate ogni tanto dalle grida scomposte dello stesso Keiji Haino o da quelle più grevi del leader dei Sumac, arginate a tratti, si fa per dire, dal potentissimo basso tuonante di Brian Cook e dal drumming fantasioso di Nick Yacyshyn, ma la sezione ritmica per ovvie ragioni in questo ensemble non è praticamente mai protagonista per definizione.

L’estremizzazione di questo concetto è il secondo affresco, lo chiamo così perché è pressoché impossibile definirlo brano A shredded coiled cable within this cable sincerity could not be contained. Forse come mai in passato i due universi musicali in ballo si sono avvicinati in questo lavoro, soprattutto in una traccia come That fuzz pedal you planted in your throat, its screw has started to come loose Your next effects pedal is up to you do you have it ready?, in cui si ha la sensazione che questo mostro sonoro sia veramente diventato un corpo solo con un’unica testa pensante dedita al 100% a violentare il suono. 

Difficile trovare somiglianze, forse le cose più vicine sono a tratti il post-doom scomposto dei Khanate o il delirio sonico dei Moonchild di John Zorn, altro maestro del rumore e dell’avanguardia. Fatto sta che nel prosieguo del percorso musicale di Aaron Turner, iniziato circa venticinque anni fa, la sua prima e più famosa creatura, gli Isis, in confronto ad altri progetti venuti dopo, come gli Old Man Gloom o come appunto i Sumac in questione, risultino accessibili ed “easy listening”, in una sorta di radicalizzazione artistica costante ed in ascesa che al momento non sembra dare segnali di placamento. Ragionamento invece che non vale per il guru del Sol Levante, che in tal senso è partito a mille fin dal principio mantenendo costante l’aspetto riguardante l’oltranzismo sonoro.

Al netto di questo discorso comunque c’è da dire che oggi sia davvero difficile trovare un qualcosa di simile a livello musicale e soprattutto di sensazioni evocate, forse solo alcune uscite dei The Body si avvicinano, ma poco altro. Ad ogni modo qui, nell’incontro tra Sumac e Keiji Hano, il confine tra genio e follia è labilissimo, una sottilissima ed impercettibile linea di demarcazione che una volta superata potrebbe portare dritti alla pazzia.

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