1. Loose Talk
2. Food From Plate
3. Radiator
4. We Came To Play
5. War Not Beef
6. Out Of Place
7. Boils Up
8. Buck 50
9. Demeanor
10. Using It
11. WW4
12. Trouble The Water
Punto focale dell’hardcore, quando fu concepito, era di spezzare il passato o, in casi di differente intransigenza non codificata, di integrarlo di modo che assumesse le fattezze del presente quando non proprio del futuro. Col tempo la cosa è andata diminuendo gradualmente lasciando più spazio alla sicurezza sotto forma di playbook non scritto a cui rifarsi per non uscire dai binari dell’ovvio. A qualcuno, a maggior ragione nella seconda metà dei Duemila e per quel che riguarda l’Oltreoceano, la cosa continua a non stare bene, anche se restano esempi esigui, soprattutto tra le realtà più conosciute: Turnstile (anche l’ultimo ben poco riuscito album), Soul Glo, The Armed e Show Me The Body su tutti.
La band di stanza a New York, realtà di incredibile durezza sin dai primi, storici vagiti HC che ha sempre avuto un’influenza diversa da tutte le altre realtà statunitensi, vuoi per il turbinare di altre situazioni in campo musicale, vuoi per la violenza intrinseca e non della megalopoli per eccellenza, ha sin da subito preso e rivoltato come un calzino quel genere che di rottura non era più, integrando all’interno del proprio cammino sonorità aliene alle regole del gioco, non ultima la presenza di un membro del gruppo con al collo non i soliti strumenti a corda bensì un banjo, che fa un po’ effetto “Minutemen che incorporano nel proprio sound quel rock che tutti i punk odiavano”.
Julian Cashwan Pratt, oltre allo strumento prediletto di bluegrass e tradizionalisti, ha in mente altro per rendere i suoi Show Me The Body un’entità altra rispetto a tanti gruppi contigui, accogliendo in sé la tecnica del sampling e una dose letale di noise che rende giustizia allo spirito lo-fi da sempre professato in lungo e in largo sottoterra. Lo fa creando una scena e un punto di riferimento per chi è obliquo a tutto il resto battezzandolo Corpus, un luogo e un non-luogo in cui portare a compimento idee artistiche e politiche non allineate, com’era un tempo ma senza scadere nel rétro. Nello studio di Long Island e assieme ad Arthur Rizk, produttore sempre più gettonato su queste coordinate, dà vita a “Trouble The Water”, terzo lavoro del combo, forse quello più estremo in ogni sua sfumatura.
Come si diceva a far da padrone è il rumore, noise se si vuole inquadrare il tutto più nello specifico, e noise rock per concludere. Non solo, prendiamola larga e non andiamo in ordine. Fa specie nell’economia di un disco che dovrebbe essere definito hc punk o al massimo post-hc sentire sintetizzatori kosmische e krauti, estremamente Tangerine Dream come quelli che impregnano Out Of Place, con il cantato cadenzato alla maniera hip hop di Pratt a straniare ulteriormente, una chiave di lettura dell’ambiente trasversale, fuori dallo schema preconcetto di assalto frontale, che si traduce in una sneaking action attraverso l’antro più nascosto dell’anima. In Boils Up i synth invece si muovono in un altro modo ancora, perdendosi negli interstizi ritmici imbastiti da Jackie Jackieboy, come serpenti gelidi a risalire la china di un mid-tempo luciferino e che si sostituiscono ai chitarroni d’ordinanza in un punto indefinito tra Uniform e Godflesh, lo stesso luogo in cui trova spazio Demeanor, chiodo industrial darkwave infestante, come gramigna core che nulla può fermare.
Ancora un attimo, i luoghi ameni si aprono prepotenti dando spazio a realtà e stili da zona di depressione più che cittadini. È così che nascono le infezioni acustiche di Loose Talk e WW4 (impreziosita da un’attitudine vocale puramente punk ’77), banjo in primo piano e sviluppi amari, abissi di solitudine e impostazione outlaw country, la cui violenza sta nelle parole e nelle sensazioni più che nell’impatto. A rendere l’impatto reale e duro come cemento ci pensano le chitarre baritone di Harlan Steed e che imperversano sui restanti mostri elettrici che muovono passi pesanti in distese noise rock e sludge terrificanti, abissi dai quali è impossibile risalire, claustrofobici, lenti, annichilenti, a dimostrazione ultima che un’altra strada è possibile, che i suoni più sono strani e inesplicabili meglio è.
Fare un disco anti-canonico è necessario, nel 2022 più che mai. Smuove le acque, rendendo fede ad un titolo che più azzeccato non si potrebbe.