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Bill Frisell – Four

2022 - Blue Note
jazz / post bop

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Tracklist

1. Dear Old Friend (For Alan Woodard) 
2. Claude Utley 
3. The Pioneers 
4. Holiday 
5. Waltz For Hal Willner 
6. Lookout For Hope 
7. Monroe 
8. Wise Woman 
9. Blues from Before 
10. Always 
11. Good Dog, Happy Man 
12. Invisible 
13. Dog On A Roof


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Continua l’ormai pluri trentennale collaborazione tra Bill Frisell e Lee Townsend, ognuno dal proprio lato della sala d’incisione, e ancora una volta si dimostra formula funzionale al suono prodotto a queste latitudini. Ad accompagnare il decano della chitarra jazz un nuovo ensemble formato da Gerald Clayton (piano), Johnathan Blake (batteria) e Gregory Tardy (sassofono), e ad ognuno la richiesta è quella di amalgama totale nelle composizioni del Nostro.

Frisell concepisce le melodie che andranno a formare la base di “Four” in pieno lockdown, con pensieri che vanno nell’ampia gamma dei sentimenti che da esso si sono generati almeno nella maggior parti di noi, quantomeno chi è provvisto di una determinata sensibilità. Si fa, appunto, sensibile quello che viene espresso nei tredici brani che compongono l’album, lavoro di interplay ormai volto al più classico dei contenuti, in linea con la produzione Blue Note ché, vale la pena ricordarlo, in materia di jazz si segue sempre il sound che ogni etichetta ha in sé.

Se a inizio carriera (si parla di inizio Ottanta) e almeno fino al 2000 con l’immenso “Ghost TownFrisell si è fatto latore, assieme a Fred Frith (con cui ha condiviso l’esperienza zorniana Naked City) e John Scofield di un uso dello strumento che fino a quel momento non è mai stato spinto tanto in là, da parecchio a questa parte l’interesse del compositore di stanza nei pressi di Seattle è slittato dall’anticonformismo verso un ritorno alla materia più pura, anzi, originaria, mettendo da parte le lunghe distensioni ambient di cui si è visto capace durante i tanti anni al servizio del jazz e di tutte le sue declinazioni. Quello che si nota in “Four” è un alternarsi di brani classicheggianti, morbidi e pensosi e forse non proprio al massimo del furor jazzistico (anche se tra questi svetta in dolcezza Waltz For Hal Willner, che con Bill ha condiviso più di un’esperienza e che il Covid si è portato via), a pezzi più incisivi e di tutt’altra fattura che calibrano in meglio il tutto.

Brani post-bop, talvolta notturni e senza un briciolo di speranza pregni come sono di sintomi di un’amarezza difficile da lavar via, che vivono sul filo del rasoio dell’avanguardia, in cui la chitarra è elemento in dissonanza, con gli altri a seguire il concetto di atmosfera che va in mille pezzi (uno su tutti Blues From Before, sghemba destrutturazione melodica) per poi riformarsi attorno a groove caldi che scorrono a rivoli intrecciandosi a formare un’unica pasta sonora, tra piano e fiati che non prorompono ma avvolgono quando non destabilizzano, a dimostrazione che il gruppo prevale sul singolo, quasi a sostenere una sorta di filosofia antitetica all’isolamento forzato e necessario.

Manca però un guizzo friselliano, un pensiero di punta che spezzi il susseguirsi lineare degli eventi e sotto il cui cappello possa trovare luogo di esistere un grande disco. Troppo scostante nella propria unicità. La classe è comunque ancora tutta lì, su questo non ci piove, ma forse non basta.

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