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Comaneci – Anguille

2022 - Santeria Records / Wallace Records / Tannen Records
alternative rock / dream folk

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Tracklist

1. Listen
2. Couldn't Help It
3. Little Girl
4. The Stray
5. Loss of Gravity
6. Jaws
7. The Tongue
8. Hidden Place
9. Hillhouse
10. Every Midnight
11. To The Water


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Il 14 Ottobre 2022 è uscito “Anguille”, il nuovo album dei Comaneci pubblicato per Santeria Records, Wallace Records e Tannen Records. Il precedente lavoro in studio, “Rob A Bank”, risale al 2018 e rappresenta un ottimo termine di paragone per apprezzare l’evoluzione artistica del trio romagnolo. Se in “Rob A BankFrancesca Amati, Glauco Salvo e Simone Cavina – i tre custodi della grazia felina con cui la ginnasta Nadia Comăneci incantò il mondo a Montréal – registrarono un’importante svolta a livello di suoni, atmosfere e costruzione dei brani, con “Anguille” i Comaneci decidono di spingersi ancora oltre, riuscendo ad ampliare notevolmente la tavolozza dei colori con cui poter dipingere le proprie idee musicali.

L’album di quattro anni fa marcò un netto allontanamento dalle sonorità prettamente acustiche delle prime pubblicazioni, quando il gruppo era formato da Francesca Amati e Glauco Salvo: ciò fu in parte dovuto all’ingresso nella band del batterista Simone Cavina, i cui contributi ritmici arricchirono l’approccio folk-sperimentale del duo AmatiSalvo con suoni più d’impatto. “Anguille”, l’ultima fatica, non indica invece una nuova direzione precisa; o meglio, indica una nuova direzione, sì, ma tutt’altro che precisa. Questo non deve sorprendere in negativo, perché è  proprio lo spirito dell’album a non voler essere catturato in modo esatto, ben definito. È vero che quando ci si imbatte in qualcosa di sfuggente si può pensare che a monte ci sia caos e confusione, ma non è questo il caso. I Comaneci hanno le idee chiare, e con grande lucidità decidono di disorientare in modo gentile l’ascoltatore lungo le canzoni di “Anguille”. Musicalmente tutto ciò si traduce in un’inedita sperimentazione negli arrangiamenti che si colorano di nuove tinte elettroniche, suscitando nell’ascoltatore una piacevole curiosità. 

Il titolo dell’album pare legato al nome (e, soprattutto, al contenuto) del libro “Nel segno dell’anguilla” dello scrittore svedese Patrik Svensson. È come se i Comaneci partecipassero alla sfida di uno protagonisti del romanzo: la pesca delle anguille. «La figura dell’anguilla spinge a perserverare nella ricerca, a prescindere da quanto tempo sia necessario o da quanto disperata sia l’impresa», dichiara la band; la sfida con l’animale più sfuggente di tutti, infatti, può insegnare a fare della natura una guida. E non è un caso che Francesca, Glauco e Simone abbiano realizzato questo disco in luoghi immersi nella natura come l’Arboreto, lo splendido Teatro Dimora di Mondaino (Emilia Romagna), o come una casa in collina a Cartoceto (Marche). Al fine di realizzare un lavoro che fosse un’occasione per esplorare nuovi orizzonti, la scelta di non incidere l’album in uno studio di registrazione è stata essenziale, e se si è rivelata particolarmente fruttuosa è stato anche grazie al contributo di Mattia Coletti, che li ha seguiti fra il 2020 e il 2021 dalla Romagna alle Marche per registrare, mixare e masterizzare “Anguille”. 

La prima traccia del disco è Listen, quaranta secondi di bordoni eterei il cui crescendo viene scandito da una marcetta che conferisce al brano un’aria di solenne straniamento – come a dire: “preparatevi, voi che state per mettervi all’ascolto, ad un cambiamento della percezione abituale di ciò che vi circonda, così che possano rivelarsi aspetti nuovi o inconsueti della realtà”. Segue Couldn’t Help It, pezzo che si apre subito con la delicata voce di Amati e le percussioni morbidissime di Cavina; dopo le prime armonizzazioni vocali, un suono acuto si fa gradualmente meno sottofondo e più tappeto sonoro, e nel giro di qualche secondo si ha un assaggio della raffinatezza degli arrangiamenti che caratterizzano l’album: il basso di Luca Cavina (che compare in diversi brani) si incastra elegantemente negli spazi che gli offre il fratello Simone; la voce di Troy Mytea, ospite azzeccatissimo per questa canzone, si fa così grave da essere il complemento ideale per quella di Francesca; prendono poi forma gli arpeggi acustici di Glauco Salvo, che rendono la situazione sempre più avvolgente e la caricano di un leggero pathos, il cui culmine è rappresentato dagli interventi di chitarra elettrica di Mattia Coletti

È il turno di Little Girl, uno dei singoli che ha anticipato l’uscita di “Anguille”. Un coro premuroso  domanda per due volte: «Little girl, little girl | What’s your story?». Poi ha inizio la narrazione vera e propria, scandita dal suono caldo del piano elettrico suonato da Francesca; a differenza di quello ci potevamo aspettare dalla spensieratezza del coro iniziale, la storia assume nuovi sapori. La batteria di Simone Cavina entra in modo educatissimo, e una volta giunti alla struggente dichiarazione “I wish I could steal your heart” riecco Luca con il suo basso solido e fine allo stesso tempo. L’ingresso in scena di Salvo è marcato dalle sue chitarre elettriche capaci di accentuare il movimento della canzone in una direzione piacevolmente malinconica; a partire dalla seconda strofa, si può sentire anche la sua voce insieme a quella di Amati nel continuo del racconto: il narratore diventa così multiforme. Il brano prosegue registrando sempre più inserti percussionistici che esaltano il moto prodotto dalle melodie di chitarra, conducendo infine il brano verso un’ottima chiusura.

Il pezzo successivo, The Stray, è rimasto nella mia testa per giorni. Il testo della canzone è una rielaborazione della poesia omonima di Charles Simić (contenuta nella sua raccolta più recente: “The Lunatic”) ed è magnifico il modo in cui le parole del poeta di origine serba vengono trasposte in musica. Un randagio rimane con un sacco di domande a cui né lui, né gli altri compari di strada hanno saputo dare risposta – domande che forse non hanno una risposta precisa, un po’ come quelle del protagonista del libro di Svensson riguardo al rapporto con suo padre: anche questi sono i luoghi ignoti, i territori in divenire a cui poter accedere ascoltando questo disco dei Comaneci. Una chitarra in lontananza e un più vicino piano elettrico accompagnano la recitazione di Francesca Amati, mentre gli interventi di Simone Cavina impreziosiscono le dinamiche del vagabondare agrodolce di The Stray, contribuendo alla realizzazione di una sensazione di costante mutevolezza.

Loss Of Gravity è l’altro singolo estratto da “Anguille”, e vede la partecipazione di Tim Rutili alla voce. Questa canzone è il primo vero momento in cui possiamo godere delle nuove sperimentazioni sonore ricercate dai Comaneci: l’elettronica ricopre un ruolo importante sia per quanto riguarda la sezione ritmica, sia per quanto concerne la modulazione delle varie tastiere. Il momento in cui tutti arrivano a cantare “Loss of gravity/will lead me nowhere”, ovvero il liberatorio picco del climax verso cui Loss Of Gravity tende, giunge dopo un’adeguata preparazione alle possibili conseguenze della sindrome da adattamento allo spazio.

Si prosegue con Jaws, brano che ricorda le origini acustiche della band vista l’assenza della batteria. La selezione degli strumenti ricade su sonorità più classiche, come quelle di pianoforte e organo. Ci sono anche diverse chitarre, oltre alle voci di Francesca e Glauco, che, in questa canzone, hanno spazio per esprimere una forte complicità. Nel testo di Jaws si può trovare  una sorta di manifesto dell’album: “I wanna feel free, to make choices which challenge me/No shame, no shame/In spacing out sometimes/No shame, no shame/In changing route”. The Tongue è il pezzo che più mi ha sorpreso. Ad un primo ascolto (distratto) ho pensato di aver attivato la riproduzione casuale e di esser finito dalle parti di Laurel Halo; The Tongue, infatti, non prevede strumenti acustici. Tutto è ostinatamente elettronico, e il fluttuare super dinamico dell’effetto tremolo sul cantato crea nuove suggestioni che sorprendono l’ascoltatore, anche in relazione al forte contrasto con il brano precedente. 

Segue Hidden Place, e non poteva esserci un ritorno migliore a sonorità più familiari. Luca Cavina suona synth e basso, e con Simone danno vita ad un groove dilatato nel tempo che riesce a catturare l’attenzione dell’ascoltatore, suscitando molta curiosità. Il luogo nascosto è quello che non conosciamo, e Francesca Amati ci invita a seguire lei e i suoi compagni di viaggio in un cammino verso le cose che non sono ancora state e che saranno. Da segnalare le belle chitarre di Salvo, in grado di stimolare sempre più interesse nei confronti di questo misterioso Hidden Place.

Le sonorità della successiva Hillhouse sono un’ulteriore novità: un piano bass distorto fornisce il giusto sostegno alle voci di Francesca che, nonostante un ulteriore (seppur leggero) intervento di distorsione, rimangono soffici. Every Midnight recupera certe sonorità elettroniche, integrandole in modo maturo ad un’atmosfera sognante. Nel finale una batteria acustica distante e ben filtrata si aggiunge a tutti gli altri suoni sapientemente stratificati, regalandoci l’ennesima testimonianza dell’importante evoluzione stilistica della band. L’ultima canzone è To The Water: una pace dei sensi che può scattare solo dopo aver respirato tutto il fluire, il divenire insito nei brani precedenti. I dettagli musicali che si evolvono durante questa mirabile immersione elettro-acustica sono veramente notevoli. 

Ho già speso un sacco di parole nel tentativo di raccontare la mia esperienza con “Anguille” – tentativo probabilmente inutile, considerando l’essenza proteiforme dell’album. Mi limito quindi ad un ultimo commento iper-personale: questo disco è riuscito a smuovere alcune emozioni sopite, entrando in contatto con certe zone di me che pensavo non potessero essere più sfiorate. Tutto ciò è stato inaspettatamente piacevole.

Concludo ringraziando i Comaneci per la perseveranza dimostrata in questi due anni di lavoro, per il coraggio e la voglia di offrire agli ascoltatori un’esperienza così mutevole. Tanta tenacia e un forte desiderio di evoluzione hanno portato Francesca, Glauco e Simone a realizzare un album incantevole. Consiglio a tutti quelli che stanno leggendo di correre ad ascoltare  “Anguille”, un disco sorprendente, stimolante e, soprattutto, un lavoro che riesce ad incuriosire chi lo ascolta. Qualità sempre più rara di questi tempi.

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