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Kill Your Boyfriend – Voodoo

2022 - Sister 9 Recordings / Little Cloud Records / Shyrec
darkwave / noise rock

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Tracklist

1. The King
2. The Man In Black
3. Mr Mojo
4. Buster
5. The Day The Music Died
6. Papa Legba / Voodoo


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Un imprecisato cimitero di Memphis, una notte buia come il fondo dell’anima di un serial killer dove l’unica fonte di luce sono i non troppo frequenti lampi, che si abbattono sulla terra come se cercassero qualcuno da uccidere. Alla luce dei fulmini si intravede una lunga pietra tombale che copre la relativa sepoltura in tutta la sua lunghezza. Il nome del defunto proprietario, una volta inciso nel marmo, ormai è illeggibile, cancellato dal tempo, dalla natura erosiva dei fenomeni atmosferici o da chissà cos’altro. La suddetta lastra è leggermente spostata, e lascia scoperta la cavità oscura dove il morto consuma il suo meritato sonno eterno. O, meglio, dove consumava: l’ennesimo fulmine illumina una mano che si fa strada tra l’humus necrotico del terreno cimiteriale, buttando all’aria zolle di terra. È uno zombie. Un atroce frastuono distorto accompagna la sua risalita dagli inferi, un pulsare continuo e percussivo, un boogie perverso e maligno. È il vodoobilly dei trevigiani Kill Your Boyfriend, contraddistinto da un’intrinseca natura esoterica che è propria di quella magia nera capace di riportare in vita i morti. Matteo Scarpa e Antonio Angeli sono due potentissimi sacerdoti vudù e danno prova delle loro capacità nella loro ultima fatica in studio, intitolata appunto “Vodoo“.

The King apre le danze, l’inizio di una macabra festa liturgica dove le icone passate del rock tornano in veste di ritornanti per essere celebrate, e per celebrare a loro volta lo spirito immortale e senza tempo del rock’n’roll. Sulle note del brano dedicato a lui, Il Re, ridotto ad un ammasso di carne putrescente, ancheggia nella sua danza pelvica, si dimena seguendo il ritmo serrato della batteria, fino ad arrivare a una folgorazione mistica durante l’assolo di chitarra, una manifestazione sensibile di convulse voci ancestrali che richiamano sulla Terra anime perdute in abissi indefiniti. La danza continua, altri miti entrano in scena. Una sezione ritmica serratissima introduce la martellante The Man in Black. Non esiste nessuna tomba che possa contenere questi corpi e, infatti, zombie ballerini continuano ad  imperversare fra le pallide pietre tombali, mentre il brano si sussegue tra lancinanti suoni di chitarra e rumorosità synth affilatissime. Fuochi rituali (o forse falò festivi) si accendono durante i richiami chitarristici surf rock di Mr Mojo che lentamente declinano in urli sonici iper distorti e si sovrappongono a suoni sintetici abrasivi; il risultato sembra essere una motosega sonora che cerca carne fresca per qualche particolare immolazione.

In Buster si arriva al culmine della tensione ritmica con una relativa distensione finale, dove il corpo sonoro inizia a dilatarsi in una sciamanica forma di psichedelia distorta che cede il passo a The Day the Music Died. Il titolo è ripreso da una frase emblematica che dà il nome alla tragedia che si è consumata il 3 febbraio 1959, in Iowa, quando Buddy Holly, Ritchie Valens e The Big Bopper persero la vita in una disastroso incidente aereo. Il giorno in cui il rock morì. Forse il momento più solenne della “festa”, il ballo si ferma, un rumore denso e vibrante si aggrappa alle ossa, aumentandone la densità e schiacciando il corpo al suolo, adesso è impossibile praticare alcuna forma di danza. Una nenia strisciante si fa strada, sincero lamento funebre che culmina in un orrorifico delirio sonoro capace di annichilire qualunque forma d’esistenza. 

Il lato B del disco, contenente l’accoppiata Papa Legba/Vodoo, assume un sapore tribalistico, il cantato si fa ancora più evocativo mentre una serie di suggestioni e fantasmi sonori prendono il controllo dell’ascoltatore. La festa è diventata liturgia definitivamente. Sezione da un quarto d’ora, circa, che si risolve in un sabba spiritico dove demoni maligni assumono consistenza terrena e accompagnano l’ascoltatore in una lentissima spirale discendente nell’abisso più nero, con scarse possibilità di tornare indietro.

I Kill Your Boyfriend ci regalano un disco di una consistenza espressiva unica, tributo allo Spirito di una musica che ha plasmato intere generazioni e, nel farlo, non indulgono mai alla nostalgia: sopra una struttura rock’n’roll di matrice crampsiana, infatti, innestano glaciali sintetizzatori fantascientifici. Volendo usare una metafora cara ai consumatori di letteratura di genere: sopra i corpi marcescenti di zombie dal passo ubriaco, montano a piacimento innesti metallici cyborg e lucenti componenti robotiche, il tutto senza risultare mai banali o stucchevoli.

Disco imperdibile non solo per i cultori dei sottogeneri più malati del rock, ma per chiunque si professi amante di questa musica.

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