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Moin – Paste

2022 - AD93
post rock / post hardcore

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Tracklist

1. Foot Wrong
2. Melon
3. Yep Yep
4. Forgetting Is Like Syrup
5. In a Tizzy
6. Knuckle
7. Hung Up
8. Life Choices
9. Sink


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La musica dei Moin, il trio londinese che include la connazionale Valentina Magaletti alla batteria, si ricollega a tante band del passato, a cavallo del millennio soprattutto. Così tante che non le elenchiamo, per paura di omissioni. O forse, soprattutto, perché, alla fine, malgrado questi richiami, i Moin non assomigliano a nessuno. Tom Halstead e Jon Andrews dei Raime, sono gli altri 2/3 della band e qui, per chi è familiare con questo decennale progetto industrial/elettronico, i punti di riferimento si fanno più circoscritti. Prendi Forgetting Is Like Syrup: è musica recitata senza anima, ripetuta senza trasporto, distaccata. Sarà che “l’oblio è come uno sciroppo”. Eppure, è musica piena di sorprese e dettagli che non vuoi perderti con un ascolto distratto.

Metti su “Paste” e capisci velocemente che è ora di abbassare le luci e cercare di comprendere quello che sta succedendo. Secondo Pitchfork, i Moin starebbero addirittura “delicatamente, ma brillantemente reinventando la musica rock”. In fondo, questo “post-tutto” praticato da loro (post-rock, post-punk, post-hardcore, ecc…) si avvicina a quello dei molto più mainstream, ma sempre londinesi, Dry Cleaning. Dei brillanti riff di chitarra per cominciare, accompagnati a dei pesanti groove di basso e batteria e un pò di spoken-word con frasi indimenticabili a fare da ciliegina. Tipo: “Era allergica alle stronzate / E poteva sentire gli occhi irritarsi” (da Life Choices). La differenza è che gli altri, i Dry Cleaning, con tutto l’hype che li accompagna, corrono il serio rischio di stufare con la loro formula, come diceva qui il collega Riccardo D’Ascenzi.

Al contrario i Moin per cominciare- a parte la suddetta frase di Pitchfork di cui mi sono accorto solo io – arrivano in punta di piedi nelle nostre librerie musicali. E se l’esordio, “Moot”, qualche buona recensione anche in italiano l’aveva accumulata, questo secondo album, al momento in cui scrivo, sembra che da noi sia passato ignorato. Se ne sono accorti, per fortuna, quelli di “Battiti” la troppo poco celebrata trasmissione di Radio3 (eroi che da soli giustificano i miei 90 euro annuali di canone RAI che spero vadano tutti a loro). 

Che poi, sarà la Magaletti che ci mette molto di suo, ma questo “post-tutto” è anche molto ben suonato. Vi basti prestare le vostre orecchie almeno a Hung Up, se proprio andate di fretta e non mi credete. Ma il rischio è sempre quello con dischi come questo: che ascoltate qualche minuto una traccia qualunque e poi rimanete intrappolati. Intrappolati in un moodche è dark, non c’è dubbio, ma nemmeno troppo. Al massimo, vi potete spaventare un pò per le urla che appaiono su Yep Yep; anche se il ritmo scanzonato con il quale le accompagna la Magaletti sdrammatizza parecchio. Ma, in fin della fiera, “Paste” vi risulterà un disco che non ci si capisce molto. E sarà proprio per questo che non ci stuferemo presto. 

C’è una vocina, sempre su Life Choices,che ripete “what?”, alternata ad una risatina e ai soliti riff e groove. Ecco, appunto: “che?” è la domanda che viene. Che volete fare, cari Moin? State reinventando la musica rock? O state passando per di qua un attimo, come un’anomalia passeggera? Che cosa siete?

“Voi non mi conoscete, ma io vi conosco. Cazzo se vi conosco” (da Melon), è la risposta della band e ci dovremo accontentare, per ora.

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