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Back In Time

Tra gli Hüsker Dü e i REM, la poesia del futuro: “You’re Living All Over Me” dei Dinosaur Jr.

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Due scariche di tamburi, un delirio di chitarre ulula contro il nulla, qualcuno o qualcosa grida a squarciagola: «What is it? Who is it? Where is it?», poi la coltre di suono si apre, sembra rallentare la furia, la distorsione si placa, e una voce dolce, un po’ stonata, timida, malinconica, ci parla di un coniglio: «A rabbit falls away from me, I guess I’ll crawl». Musica rock per perdenti, è “You’re Living All Over Me”; un suono potente che non suggerisce potere, sono i Dinosaur Jr, siamo nel 1987.

È il secondo album della band: prima il debutto con la Homestead di Gerard Cosloy, autoregistrato, “Dinosaur”, una prima interessante, imperfetta, uscita. Bastò però a stuzzicare l’interesse della SST, che era certamente la più grande ed esperta etichetta indipendente operante negli States, con artisti del calibro di Sonic Youth, Soundgarden, Bad Brains e Screaming Trees nelle loro fila. Lanciarono una delle loro campagne promozionali più estese per spingere i singoli dei Dinosaur Jr. sulle radio dei college e nelle stazioni locali.

“You’re Living All Over Me” ha avuto un effetto paradossale sulla scena underground americana di fine anni ‘80. È chiaro fin da subito il ritorno alle schitarrate fuori moda di almeno un decennio prima, ma allo stesso tempo spinge la scena a liberarsi da molte delle restrizioni più puritane del post-Black Flag. I principi musicali alla base dell’hardcore e del post-hardcore – essenzialmente nessuna autoindulgenza musicale – erano ideologicamente necessari all’inizio degli anni ’80, come contrappeso agli eccessi del rock mainstream, ma nel 1987 frenavano molti chitarristi che volevano andare oltre la regola.

In primo luogo J Mascis usa i pedali – e più ce ne sono, meglio è: wah-wah, distorsioni varie, flanger e booster, tutte queste cose erano state un anatema assoluto per la scena punk, associate ai vecchi hippy e alla bonarietà della musica dei primi anni Settanta, che il punk aveva sempre osteggiato. Usa quei pedali in modo strategico, come fosse il massacro di una delle vacche sacre dell’ideologia punk, la logica conseguenza degli enormi muri di suono che gruppi come gli Hüsker Dü stavano già sviluppando.  In secondo luogo, la voce di Mascis, a differenza di molti dei suoi contemporanei che tendevano ad abbaiare e gridare i loro testi come sergenti istruttori, è effettivamente cantata, e dolce, e malinconica. Il suo accento strascicato è laconico ed espressivo, un punto focale fresco e spesso evocativo nel caos del suono montuoso del gruppo. Per questo Jack Barron di New Musical Express all’epoca scrisse: «the missing link between Hüsker Dü and REM».

In “You’re Living All Over Me” sembra che tutto possa esplodere o crollare da un momento all’altro. Gli assoli e i riff furiosi e innovativi di J Mascis catturano tutta l’attenzione dell’ascoltatore, ma il modo in cui le sue parti si intrecciano con basso di Lou Barlow e il clangore della batteria di Murph è pura alchimia. Il suono sbanda e barcolla dappertutto, ed è questo il bello.

L’influenza di “You’re Living All Over Me” è più evidente se si guarda all’esplosione della scena grunge incentrata su Seattle cinque anni dopo. Ogni avventuriero è stato in grado di accaparrarsi un contratto discografico eliminando gli spigoli dal suono dei Dinosaur Jr., indossando una camicia a quadri e suonando a tutto volume. Il disco ha avuto un impatto potentissimo oltre le coste americane e anche al di fuori del grunge: un Kevin Shields dei My Bloody Valentine ha regolarmente citato Mascis e soci come una delle sue ispirazioni principali per il suono lussureggiante, caldo ed espansivo della sua band, e il suo impatto su altri gruppi shoegaze è palese. È impossibile immaginare l’evoluzione del rock alternativo senza di loro.

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