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Interviste

Il rock secondo Gebhardt: intervista a Håkon Gebhardt e Marì Simonelli

Foto: Tommaso Martinoli

Gebhardt è il progetto di Håkon Gebhardt, già membro dei Motorpsycho dal 1991 al 2004, con la moglie Marì Simonelli, al basso e co-scrittura dei testi. Uscito a settembre su Apollon RecordsGeb Heart” è il nuovo album della coppia, un viaggio sonoro fatto di melodie, sfumature, atmosfere, ritmiche e colori disparati, in cui l’artista gioca con il proprio vasto bagaglio musicale e culturale. Un caleidoscopio creativo tutto da scoprire (qui trovate la nostra recensione).

Abbiamo colto l’occasione per incontrare i due, ne è uscita una lunga e intensa chiacchierata.

Ciao Håkon, buongiorno, come stai? Proviamo a fare un viaggio soprattutto all’interno del tuo lavoro “Geb Heart”. Appare chiaro dal titolo tutta la passione che hai infuso nell’opera e che, come il tè, rilascia le tue personalissime caratteristiche a nostro appannaggio, dando gusto e aroma al processo espressivo finale, ottimo da sorseggiare. A proposito, qual è la tua colazione preferita?

Ora sono in fissa col Puzzone di Moena, pane integrale tostato e marmellata di amarene, buonissimo e mi dà tanta energia. Un po’ come la nostra musica, può sembrare dura da masticare, ma non lo è, pizzica sulla lingua con un aroma che ti incuriosisce, e alla fine è molto dolce.

Dunque, vediamo un po’, la linea melodica innanzitutto, il power pop pervade e prende il sopravvento in modo particolare, irraggia di calore i sensi, proprio come fa il sole del mattino scaldando la terra raffreddata dalla luna durante la notte, apportando splendore che si tramuta in levità e buona predisposizione d’animo, quello che ci si aspetta di regola da un buon giorno, sei d’accordo?

Sì, sono d’accordo, si dovrebbe provare quel senso di leggerezza ascoltando questo album. All’interno di questi brani pop “rumorosi” ci sono caramelle nascoste ovunque, camuffate da linee melodiche più o meno portanti. Volevo vedere se era possibile che ogni strumento, linea vocale o assolo che ho aggiunto potesse avere vita propria, qualcosa che ti rimane in testa a prescindere dal resto dell’arrangiamento mentre affronti un nuovo, buon, giorno.

Ascoltando “Geb Heart” non ho potuto fare a meno di pensare in via generale a Syd Barrett, ma anche ai REM, ai Soft Boys, laddove una nervosità creativa sincopata incontra visioni sonore dal sapore fanciullesco e fascinosamente contorte in modo magistrale e conturbante; inoltre si subodora anche parte di una psichedelia che abita terre sonore fantastiche, unita a ritmiche d’eco new wave a cavallo tra i ‘70 e gli ’80, confezionando infine un albo intrigante che stuzzica i palati fini perché forte del materiale poliedrico e variegato con cui l’ascoltatore flirta…I ricchi riferimenti sono una parte succosa dell’albo…

Io prendo ispirazione dappertutto, e non voglio nasconderlo. Syd Barrett è sempre stato importante per me, con la sua fragilità e capacità di parlare con la sua musica direttamente al mio cuore.
Se faccio una passeggiata, tutti i suoni e i rumori mi danno ispirazione, confusione e distrazioni. La stessa cosa accade quando sento la musica, il mio cervello non riesce a non pensare, come hanno fatto questo, e perché questo pezzo mi fa stare bene, male, piangere, o avere voglia di volare senza ali. Ma non sono bravo ad ascoltare musica, normalmente mi stanco dopo un minuto o due, dopo di che voglio mettermi con la chitarra per vedere se anch’io posso fare qualcosa di simile per stare bene, o male. A volte provo anche a rubare pezzi da altri artisti per rielaborarli a modo mio. Penso che la canzone che mi ha ispirato di più sia “I Live on a battlefield” di Nick Lowe, e considero Dolly Parton una grande cantautrice.

That Day è un cameo di irresistibile valore da annoverare tra le maggiori hit pop di tutti i tempi; il pezzo risale a un lustro fa, già rilasciato sul That Day EP del 2017 e qui rivisitato e affinato. Il fatto di essere stato ripescato all’oggi dimostra il tuo affetto per esso e per il potenziale intrinseco su cui hai puntato scegliendolo come brano guida. Che mi dici in proposito? Inoltre, potrebbe essere che ci sia in sottotraccia lo zampino dei Joy Division?

That Day è il primo brano che io e Marì abbiamo scritto insieme, ed è quello che più di tutti ha dato una direzione al nostro lavoro, indicando in qualche modo la strada, sì un brano guida per dirla nei tuoi termini, la “signature track” di questo disco. Con questo pezzo abbiamo trovato il nostro suono e non appena l’abbiamo registrato ci ha dato la gioia di scrivere altro. Quanto ai Joy Division no, non mi sono ispirato a loro durante la scrittura, tutto è partito dal riff di chitarra iniziale, di fatto l’ho trovato per caso su una dodici corde.

Beautiful Girl ha un approccio indie dei 90’s e al contempo un respiro da world song, tale mediazione è il risultato di una scelta ricercata sull’effetto totale, oppure la naturalezza della composizione è seguitata a briglie sciolte lungo le ali dell’ispirazione? C’è molta attenzione all’aspetto affettivo-relazionale verso un/una partner del passato; “le regole dell’amore”, avreste potuta intitolarla anche così?

Il testo di Beautiful Girl per noi è il più importante, quello a cui siamo più legati, l’ho scritto praticamente di getto. In questi anni io e Marì abbiamo perso due bambini, e questo pezzo è il nostro tentativo di trovare la bellezza ovunque, anche nella perdita. A livello compositivo ho lavorato molto alla melodia, cercavo qualcosa di immediato e semplice per ottenere quel flusso naturale di cui parli, ma è stato soltanto quando ho capito che per questa canzone non ci voleva semplicemente un normale ritornello, ma solo quella dolce linea di chitarra che ne svolge il ruolo, che il codice è stato decifrato e il flusso era lì.

I Want to Know, dall’incedere maestoso, esalta la meravigliosa chitarra ed è decisamente “Epic”! Fa venire letteralmente la pelle d’oca per il piacere, la dolcezza e la malinconia che se ne ricava dall’ascolto. Come sbrogliate questo estratto dal testo? Tuttavia, non mostriamo volontà/ Per rimanere in vita/ Solo per non morire/ Prendi la mia mano, sii un uomo, non lo capirai/ La terra se n’è andata e tu ti sbagliavi/ Sei solo carne e ossa, carne e ossa. Non credete al Paradiso o alla reincarnazione?

Non vogliamo sbrogliarlo, ci piace che ognuno possa trovarci quello che vuole, che lo faccia in qualche modo suo. La mia idea con questo brano era quella di fare un arrangiamento il più primitivo possibile, tutti gli elementi di questa canzone sono fatti in modo minimalista. E, nonostante sia una canzone molto fragile, volevo anche tirare fuori più rumore possibile. E no, io non credo in niente. Non sono un credente, sono un sognatore.

Fixing Things è un gioiello di ottima fattura, corre su scenari norvegesi da fiaba, anche beatlesiani, e crea girandole che incantano. “Metto da parte tutto e stabilisco la linea/ È una massa informe, qualcuno si è lasciato alle spalle/ Con uno strascico in mano, l’ho messo a terra/ Lo lascio lì a crescere, lo lascio lì ad annegare”: di quale mostro si parla?

Probabilmente questo album è più esistenziale di quello che pensavo, mi ci fai pensare tu. Ma penso che Marì mi abbia capito bene quando ha scritto “I like fixing things, cause it feels like fixing me”: io non riesco a stare fermo, devo sempre fare qualcosa e quando non sto lavorando ho bisogno di usare il mio corpo per sistemare qualcosa in casa o in giardino. In qualche modo il movimento guarisce la mia anima. Per me la vita è piena di contraddizioni, un secondo voglio bene a tutto il mondo, ma quello dopo odio proprio tutto, odio la normalità. Forse il mostro è la vita?

The Third Song (perché questo titolo?) appartiene a un robusto pop cui la scia melodica evade dalla sua struttura ritmica, come avere una pietra grezza tra le mani e levigarla con perizia e dolcezza al fine di ottenerne un monile. Geb, qual è la tua idea di pop song? 

The Third Song è la terza canzone che abbiamo scritto insieme, all’inizio era il nome provvisorio che avevamo dato al brano in fase di composizione, poi ci è piaciuto e l’abbiamo tenuto come titolo. Ho dovuto riascoltarla per capire la tua descrizione e ho capito cosa intendi, ha una melodia morbida e fluida su una sorta di groove rigoroso. Non pensavo che fosse una canzone pop, ma ora mi rendo conto che tutte le canzoni di questo album hanno elementi pop, mentre io pensavo che fosse più rock. Non ho un’idea chiara di cosa sia una canzone pop, ma ho un’idea chiara di ciò che la musica in generale deve contenere per funzionare per me. La musica è un modo di espressione molto primordiale, se hai qualcosa da dire non c’è bisogno di essere un virtuoso strumentista, ma di credere in quello che stai facendo, e allora puoi registrarlo con un registratore a cassetta e funzionerà. Questa è la musica per me.

Una domanda personale che mi nasce sempre da The Third Song. Preferisci dileguarti dal contesto o cambiare approccio attraverso l’uso terapeutico delle parole (ossia, provando a mettere la cosa giù in modo dolce, confidente e positivo, piuttosto che in modo smaccato, duro e crudo) nel rapportarti con le persone e le situazioni che non ti aggradano?  

La cosa bella di scrivere testi o poesie è che si tratta di finzione, quindi uso le parole che mi servono per esprimermi al meglio, senza filtri. Nella vita reale tutto cambia e allora spesso nascondo i miei veri sentimenti dietro a una battuta divertente per alleggerire una situazione tesa, invece di arrivare a un confronto. Forse è per questo che ho bisogno di essere creativo?

Un altro pezzone da 90 è Distant Stars. Emoziona per il suo mood e il binomio musica-parole, abbatte musicalmente qualsiasi acredine o contrasto dell’anima. È armonia pura e viaggia alla giusta andatura. Sembra farle da pendant Please Don’t Go Away, entrambe le canzoni sviluppano una gradazione leggera dilatando il sentimento rispetto alle precedenti, pur contenendo testi di confine nel passaggio tra luci e ombre, sottolineando panorami lirici tristi che tendono a passare la palla esaurendo un percorso di gioco, come dire “io arrivo fin qui nel nostro cammino solare, d’ora in poi, mentre entriamo nel paese delle ombre lunghe, tocca a te giocare (o fare l’arbitro)”. Tali canzoni potreste considerarle in spirito quale a) frutto della vostra visione matura; b) circoscritte entro un limite relazionale contrassegnato dal tratto egoistico nei confronti di un/una supposta partner affettiva; c) forse ciascuno poteva essere più assertivo nel relazionarsi con l’altro?

Distant Stars è nata come un rip off di Neil Young mentre giocavo con una nuova accordatura della chitarra, poi sono arrivati la pandemia e l’isolamento, e ho sentito il bisogno di mettere su carta alcune parole per vedere se potevano aiutarmi a capire la situazione in cui ci trovavamo. Il testo parla di non avere la possibilità di stare vicino ai nostri amici e alla nostra famiglia. Please Don’t Go Away, che conclude la versione su LP di “Geb Heart“, vuole essere l’opposto di Breakup Breakdown che invece la apre. Il testo di Breakup Breakdown è una sorta di caricatura di una relazione sbagliata, ma anche un allegro gioco di parole, dall’inizio alla fine, mentre Please Don’t Go Away è ingenuo e pieno di rimpianti, ma anche teatrale e caricaturale come l’inizio dell’album.

Foto: Tommaso Martinoli

Noto che le melodie delle tue canzoni soffiano come venti di varia intensità che virano verso mille direzioni diverse; questo è un pregio che incanta e rende variopinto sia il tuo registro musicale che il ventaglio immaginativo a corredo, mentre i toni delle composizioni scandiscono un tempo regolare a mo’ di andante e moderato nell’esecuzione. Accondiscendi a una forma comunicativa più semplice in vista di una migliore fruibilità?

Come ho detto prima, per me la musica è una cosa primitiva e mi disturba se qualcuno deve complicarla per renderla interessante.  Nei miei brani ci sono moltissimi elementi, ma ognuno di questi è semplicissimo.

Geb, cosa porti in questi brani della cultura norvegese o di alcune suggestioni che ti appartengono e che ti evoca il tuo Paese? Marì, il tuo brano preferito dell’album e perché quello?

Geb: Porto il mio accento norvegese. E come hai detto la nostra musica è piena di variazioni in tutte le direzioni, forse questo viene fuori dalla natura Norvegese, i fiordi, la luce, il buio, il freddo, la neve, l’aurora boreale?

Marì: None of This is Mine, perché quando l’abbiamo scritta avevo in mente soprattutto mio fratello Jacopo. Poi c’è Title Track, col suo andamento ipnotico che mi rapisce e che in futuro mi piacerebbe enfatizzare ancora di più con un remix potente… una di quelle “monster song” che Håkon non sopporta più. Chissà, nel caso abbiamo già il titolo, Title Truck!

Gli ultimi 4 pezzi dell’album marcano un approccio diverso rispetto ai precedenti 10, sembrano meno complessi dal punto di vista sonico e quasi parlano un’altra lingua. Hai sentito la necessità di ampliare il Geb World alla stregua di dire, “ok, adesso vi do un saggio ulteriore del mio massiccio background” o l’intento è di seminare perle da inanellare alla prossima meraviglia sonora che fiorirà in casa Gebhardt?

Queste sono bonus track contenute nel CD e sono brani che non erano pensati come una parte di Geb Heart, ma che ho scritto in maniera molto naturale perché rispecchiano un modo di fare musica che mi contraddistingue molto. Ancora più primitivo direi.

Geb, a bruciapelo: Arthur Brown o Tom Waits? Slayer o Soen?
Marì: Paolo Conte o Lucio Dalla? Husker Du o Screaming Trees? 

Geb: Non conoscevo Arthur Brown, ma l’ho cercato quindi grazie, stavo per dire Tom Waits ma adesso preferisco entrambi. Slayer e Dave Lombardo!
Marì: Lucio Dalla e Screaming Trees. Mark Lanegan è uno dei miei artisti preferiti, amo molto i suoi dischi da solista, oltre ai suoi lavori con Isobel Campbell, in particolare “Ballad of the Broken Seas” e “Hawk“, ricordo di averli regalati a Håkon all’inizio della nostra relazione. Qualche settimana fa ho ordinato la sua autobiografia, Sing Backwards and Weep, non vedo l’ora che arrivi.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza con i Motorpsycho e che spazio occupa nel tuo cuore il periodo passato scoprendo/suonando/viaggiando insieme a loro?

Con i Motorpsycho ho avuto la possibilità di lavorare con ragazzi curiosi e senza confini musicali come me, anche se con personalità molto diverse. Abbiamo sviluppato una libertà musicale che mi mancava nella vita di tutti i giorni. Ho sempre faticato a trovarmi a mio agio nella società in generale, a sentirmi a casa, ma con la musica che facevamo insieme ci riuscivo. Con loro ho vissuto alcuni dei miei momenti migliori, ma nell’ultimo periodo mi era molto chiaro che volevo fare qualcos’altro. Non mi sono mai piaciute le jam session, mi piace quando le canzoni sono brevi e vanno dritte all’osso. E credo che ascoltando le canzoni che ho scritto per i Motorpsycho, come The Nerve Tattoo, Never Let You Out, What If, Walking with J o When Yr Dead, si possano trovare delle somiglianze con quello che faccio ora.

La tua vita sembra una favola in divenire che apre continuamente a innovativi scenari regali resi sempre tangibili e stellari: dai Motorpsycho, alle vesti di produttore, polistrumentista e ingegnere del suono, sino alla collaborazione artistica con la tua regina, Marì Simonelli. Il sodalizio artistico con tua moglie contribuisce a generare future escalation circa la sperimentazione o per “Geb Heart” ha avuto un’importanza capace di far sedimentare tratti più essenziali del tuo ricco background professionale, avvicinandoti sempre più a un, diciamo, centro di gravità permanente essenziale, che potrebbe contribuire a fare la differenza nelle tue composizioni, almeno riguardo al duo Geb-Simonelli?

Quando ho conosciuto Marì, mi sono innamorato e mi sono fatto prendere dalla sua passione musicale, mi ha riportato a dove ero agli inizi con i Motorpsycho. Dopo aver lasciato la band mi sono cimentato con le cose più strane, ho fatto country, trashgrass, ho composto colonne sonore, e persino musica per bambini, ma lei mi ha dato la voglia di tornare nel segmento indie rock/pop. Ad ogni modo tutte le azioni hanno una reazione, ed è presto per dire in che direzione andremo.

Dai testi, Geb e Marì, sembra emergere il vostro vissuto in prima persona: sensazioni, stati d’animo sofferti, contrasti, nodi che portano a domande senza risposta, mentre altri si sciolgono, un continuo perdersi e ritrovarsi, prendersi e lasciarsi. Scrivendo i testi in tandem, quanto della vostra dimensione di coppia viene ripercorsa e messa a nudo nelle liriche di “Geb Heart”?

Geb: Abbiamo un approccio molto diverso quando si tratta di scrivere testi. A me piace giocare con le associazioni, buttando fuori qualche parola o verso che suona bene senza pensare a quello che voglio dire. Di solito dopo un po’ vedo un significato e magari scelgo di seguirlo o di modificarlo in un’altra direzione. Alcune canzoni dell’album sono molto personali, ma per lo più mi piace esplorare sentimenti più generali che tutti noi proviamo, e voglio che gli altri possano immedesimarsi nelle loro esperienze.
Marì: In questi brani ci mettiamo a nudo come esseri umani e quindi non soltanto come coppia. Forse i temi principali di “Geb Heart” sono l’amore in tutte le sue forme, e la perdita.

Personalmente inquadro i vostri testi avendo come riferimento Geb, perciò mi sembrano abbiano una caratterizzazione-narrazione che corrisponda a una personalità maschile… ma questo non significa che in sede di scrittura una donna non possa dare voce a un personaggio maschile. Mi piacerebbe davvero sapere come nasce all’interno della scrittura dei testi il tema trattato, l’idea, e come si esplica a tutto tondo la vostra collaborazione artistica che definisce il progetto Gebhardt.

Geb: “It’s a mans mans world”, per dirla con James Brown, “but it wouldn`t be nothing, nothing, without a woman or a girl”. Ogni brano nasce in maniera diversa, ma il più delle volte tutto parte da un riff di chitarra mentre cerco una nuova accordatura. Da lì in poi iniziamo a pensare al testo mentre io sviluppo la composizione del brano e ci diamo input reciprocamente.

Marì: quando scrivo non lo faccio in termini di maschile/ femminile, piuttosto mi lascio ispirare da una suggestione, un pensiero, un sentimento che può appartenere a qualsiasi essere umano. Non ha reale importanza da dove o da chi arrivi questa suggestione, quello che poi riporto su carta non vuole identificarsi con un genere, ma con l’anima di ognuno di noi.

Per chiudere e prima di ringraziarvi per la graziosa disponibilità… vorrei che vi faceste una domanda, l’una all’altro e viceversa, a tema libero. Ciao Geb & Marì, grazie!

Geb a Marì: Tu sei molto fan di Nick Cave, quindi voglio chiederti, se io fossi un personaggio delle sue canzoni, chi sarei?
Marì: Nick è bravo, ma non tanto da riuscire a racchiudere la tua personalità in un unico personaggio, ci vorrebbe un concept album!

Marì a Geb: Ma quanto sei bono?
Geb: Tanto.

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